Il diritto al pieno riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata nel corso dei rapporti al termine dopo l'immissione in ruolo...gli orientamenti della giurisprudenza in materia di ricostruzione della carriera
Si è posta, in giurisprudenza, e, presumibilmente, si porrà in futuro con molta frequenza in considerazione del vasto piano di stabilizzazione attuato con la c.d. legga sulla buona scuola, la questione della legittimità del mancato (pieno) riconoscimento dell'anzianità maturata nel corso dei pregressi rapporti di lavoro a tempo determinato in favore di quei soggetti che siano stati successivamente assunti a tempo indeterminato in virtù di specifica procedura selettiva o della stabilizzazione.
In linea generale, si va affermando una giurisprudenza di merito favorevole al riconoscimento del diritto dei lavoratori alla ricostruzione della carriera attraverso il riconoscimento dell'intera anzianità maturata in virtù di contratti a termine sulla base del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell'accordo quadro in materia di contratti a termine allegato alla direttiva n 1999/70/CE, direttiva, questa, che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, può produrre effetti diretti e legittimare la disapplicazione di norme di legge difformi.
In sostanza, la questione è la seguente: gli scatti di anzianità rappresentano una delle condizioni di impiego; le condizioni di impiego debbono essere analoghe per lavoratori a tempo determinato e per lavoratori a tempo indeterminato; ciò comporta che i lavoratori a tempo determinato debbono maturare gli scatti di anzianità così come i lavoratori a tempo indeterminato; ciò impone di considerare gli scatti di anzianità così maturati anche all'atto dell'immissione in ruolo in quanto, altrimenti, il lavoratore che abbia un percorso lavorativo costituito in parte da impieghi a termine e in parte da impieghi a tempo indeternminato sarebbe discriminato rispetto ad un lavoratore che abbia analoga anzianità ma maturata interamente in virtù di un contratto a tempo indeterminato.
La questione, così posta, avrebbe un impatto significativo sul vasto piano di stabilizzazioni deliberato a seguito della l. n. 107/2015 sulla buona scuola in quanto il personale scolastico stabilizzato non si vede riconosciuta interamente l'anzianità pregressa ma solo in parte.
Si allega, qui, di seguito una recente pronuncia della Corte di Appello di Roma del 1° luglio 2016
Il C.N.R. ha proposto appello avverso la sentenza di cui all'oggetto, con la quale il Ttribunale di Roma, in parziale accoglimento del ricorso degli appellati in epigrafe, aveva dichiarato il loro diritto al computo dell'attività lavorativa prestata con contratti a tempo determinato ai fini dell'anzianità di servizio, con le rispettive decorrenze.
A sostegno della domanda i ricorrenti avevano dedotto di essere stati assunti con contratti a tempo determinato, poi prorogati e che, all'esito della procedura di stabilizzazione prevista dall'art. 1, legge n. 296/2006, avevano sottoscritto contratti di lavoro individuale a tempo indeterminato che, peraltro, prevedevano la attribuzione della posizione stipendiale iniziale, senza riconoscimento del periodo di lavoro pregresso a tempo determinato. Avevano quindi lamentato l’illegittimità di detto inquadramento sia per errata interpretazione dell'art. 1, comma 519, legge n. 296/2006, sia per violazione della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70 /CE, così come interpretata dalla Corte di Giustizia europea.
Il convenuto aveva resistito alle domande, rivendicando la legittimità del proprio operato e sottolineando che la procedura di stabilizzazione non aveva comportato la conversione del precedente rapporto, essendosi concretizzata in una nuova assunzione, come tale priva di continuità rispetto al contratto a tempo determinato.
Il Tribunale ha accolto la domanda fondando la propria pronuncia sui commi 519 e 520 della legge n. 296/2006, nonché sull'applicabilità della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato di cui sopra.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto tempestivo appello il CNR, formu-lando quale primo motivo di appello il vizio di motivazione: il Tribunale non avrebbe tenuto conto che la contrattazione collettiva del comparto ricerca ha stabilito l'obbligo di riconoscere l'anzianità di servizio maturata precedentemente all'assunzione a tempo indeterminato per il personale dal 4º all'8º livello, ai fini del passaggio di livello nel profilo e della progressione economica (artt. 53 e 54). L'anzianità di servizio sarebbe stata espressamente presa in considerazione in ragione della specificità dell'attività svolta.
Con i restanti motivi il CNR ha riproposto le proprie argomentazioni di diritto espresse nella memoria difensiva di primo grado, ribadendo la legittimità del proprio operato, e richiamando precedenti giurisprudenziali conformi alla propria ricostruzione di diritto.
Ha concluso chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto delle domande degli appellati, con vittoria di spese del doppio grado.
Gli appellati hanno resistito al gravame, del quale hanno domandato il rigetto.
All'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa mediante pubblica lettura del dispositivo.
Il primo motivo di appello è inammissibile, giacché trattasi di difese svolte per la prima volta in grado di appello. Sulla questione è sufficiente richiamare le argomentazioni che si leggono nella memoria difensiva di costituzione nel giudizio di primo grado, laddove in più occasioni la difesa dell'odierno appellante, in palese contraddizione con quanto affermato nell’atto di appello, ha sottolineato l'inesistenza del diritto vantato dagli odierni appellati. Deve essere altresì evidenziato che nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado il CNR aveva dedotto esplicitamente di avere richiesto parere al Dipartimento della Funzione Pubblica, il quale aveva recisamente escluso la sussistenza del diritto, contraddicendo nuovamente quanto si legge nell’appello.
Per quanto riguarda i restanti motivi di ricorso questa Corte condivide le opinioni che si leggono nel proprio precedente del 13/4/2015, r.g. 2787/2013, che di seguito si trascrive.
<<Osserva la Corte che il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato è stato sancito, nell’ordinamento UE, dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, secondo la quale “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”; per il punto 4 della medesima clausola, in particolare, “i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.
Nell’interpretare la Direttiva 1999/70/CE, la Corte di Giustizia UE (sent. 13.9.2007, C-307/05, Del Cerro Alonso) ha anzitutto richiamato la propria precedente giurisprudenza, secondo cui le prescrizioni dell’Accordo Quadro e della Direttiva sono applicabili anche “ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le Amministrazioni e con altri enti del settore pubblico” (v. sent. 4.7.2006, C-212/04, Adelener e altre), trattandosi di “norme di diritto sociale comunitario di particolare importanza” che devono trovare applicazione a “tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di impiego a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro”.
La Corte ha poi precisato che cosa debba intendersi per “condizioni di impiego” ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro, precisando che la riserva di cui all’art. 137, n. 5, del Trattato UE (che esclude la materia della retribuzione dalle competenze delle istituzioni UE) “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione”.
Affrontando, inoltre, lo specifico argomento della spettanza degli scatti di anzianità al personale assunto a termine dalle pubbliche Amministrazioni, di ruolo o non di ruolo, la CGUE ha affermato: “la mera circostanza che un impiego sia qualificato come ‘di ruolo’ in base all’ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato è priva di rilevanza sotto questo aspetto, a pena di rimettere seriamente in questione l’efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell’Accordo Quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari”.
La Corte di Giustizia ha infine spiegato che la nozione di “ragioni oggettive” che, secondo la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, possono giustificare la deroga al principio di non discriminazione in materia di periodi di anzianità, “non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo”, ma solo quando “la disparità di trattamento in causa sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria”.
Secondo la CGUE, quindi, la nozione di “condizioni di impiego” di cui alla clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro “dev’essere interpretata nel senso che essa può servire da fondamento ad una pretesa … che mira ad attribuire ad un lavoratore a tempo determinato scatti di anzianità che l’ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato”.
Tali principi sono stati in seguito ribaditi dalla Corte di Giustizia (sent. 22.12.2010, nei procedimenti riuniti C-444/09, Gavieiro Gavieiro e C-456/09, Iglesias Torres) che ha ulteriormente precisato che “un’indennità per anzianità di servizio … rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d’impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’Accordo Quadro”.
Successivamente la CGUE (ordinanza 7 marzo 2013 in causa C-393/11), pronunciando sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni dettate in tema di inquadramento dei dipendenti “stabilizzati” dall’art. 75 del d.l. 112/2008, ha richiamato detti principi, evidenziando innanzitutto che le ragioni oggettive che giustificano la diversità di trattamento, devono consistere in elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”.
Deve, invece, escludersi che possa configurare una ragione oggettiva il mero richiamo alla natura temporanea del rapporto, in quanto ciò “svuoterebbe di contenuti gli obiettivi della direttiva e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato” (punto 41).
La Corte ha aggiunto che “il principio di non discriminazione, enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro, sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversità di trattamento …” essendo necessario “prendere in considerazione la natura particolare delle mansioni svolte dai resistenti nel procedimento principale” (punti 50 e 51).
Nell’ordinanza citata è stata anche affrontata la questione delle modalità di reclutamento e la Corte ha evidenziato che la diversità fra procedura di stabilizzazione e concorso pubblico può giustificare una diversità di trattamento quanto alle condizioni di impiego solo qualora “un siffatto trattamento differenziato derivi dalla necessità di tener conto di esigenze oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione” (punti 45 e 46).
Nella sentenza 18 ottobre 2012 (in causa C-302/11 Valenza) pronunciata sempre con riferimento alle procedure di stabilizzazione, la Corte ha innanzitutto osservato che “il semplice fatto che le ricorrenti nei procedimenti principali abbiano acquisito la qualità di lavoratrici a tempo indeterminato non esclude la possibilità per loro di avvalersi, in determinate circostanze, del principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro (v. sentenza Rosado Santana, cit., punto 41, nonché, in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2012, Huet, C 251/11 … punto 37). Infatti, nei procedimenti principali, le ricorrenti mirano essenzialmente, nella loro qualità di lavoratrici a tempo indeterminato, a mettere in discussione una differenza di trattamento applicata nel valutare l’anzianità e l’esperienza professionale pregresse ai fini di una procedura di assunzione al termine della quale esse sono divenute dipendenti di ruolo. Mentre i periodi di servizio compiuti in qualità di lavoratori a tempo indeterminato verrebbero presi in considerazione ai fini della determinazione dell’anzianità e dunque per la fissazione del livello della retribuzione, quelli effettuati in qualità di lavoratori a tempo determinato non lo sarebbero, senza che, a loro avviso, vengano esaminate la natura delle mansioni svolte e le caratteristiche inerenti a queste ultime. Poiché la discriminazione contraria alla clausola 4 dell’accordo quadro, di cui le ricorrenti nei procedimenti principali si asseriscono vittime, riguarda i periodi di servizio compiuti in qualità di lavoratrici a tempo determinato, nessun rilievo presenta la circostanza che esse nel frattempo siano divenute lavoratrici a tempo indeterminato” ( punti 34 e 35).
La Corte ha anche evidenziato che “se nell’ambito della presente causa fosse dimostrato – conformemente alle deduzioni in tal senso svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali, rammentate al punto 47 della presente sentenza – che le funzioni svolte da queste ultime in veste di dipendenti di ruolo sono identiche a quelle che esse esercitavano in precedenza nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, e se fosse vero che, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la normativa nazionale in questione mira a valorizzare l’esperienza acquisita dai dipendenti con contratto a termine in seno all’AGCM, simili elementi potrebbero suggerire che la mancata presa in considerazione dei periodi di servizio compiuti dai lavoratori a tempo determinato è in realtà giustificata soltanto dalla durata dei loro contratti di lavoro e, di conseguenza, che la diversità di trattamento in esame nei procedimenti principali non è basata su giustificazioni correlate alle esigenze oggettive degli impieghi interessati dalla procedura di stabilizzazione che possano essere qualificate come «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro”.
Nella specie, l‘azzeramento della anzianità pregressa all’esito della stabilizzazione, determina una oggettiva disparità di trattamento sotto il profilo retributivo. Tale disparità potrebbe ritenersi giustificata, ai sensi della Direttiva 1999/70/CE, soltanto ove fosse dimostrata l’esistenza di “ragioni oggettive”, che tuttavia – secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia – devono essere strettamente attinenti alle modalità di svolgimento della prestazione e non possono consistere nel carattere temporaneo del rapporto di lavoro; nel fatto che il datore di lavoro sia una Pubblica Amministrazione; nella circostanza che il trattamento deteriore sia previsto da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo; né, infine, nella sola diversità delle modalità di reclutamento.
Nella fattispecie l’ente appellante ha fatto leva sulla “novità” di ogni singolo rapporto rispetto al precedente, sulla eccezionalità della procedura di stabilizzazione, e sulla considerazione da parte della contrattazione collettiva del servizio prestato come titolo valutabile per l’assunzione, mentre nulla ha dedotto sulle modalità di svol-gimento della prestazione, che sole potrebbero giustificare, secondo quanto affermato dalla Corte, il mancato riconoscimento dell’anzianità.
È noto che il contrasto tra le previsioni del diritto dell’Unione e le regole dettate dalla normativa interna, deve essere risolto dal giudice nazionale in favore delle prime, in ragione della loro superiorità nella gerarchia delle fonti, attraverso l’interpretazione adeguatrice o, ove questa non sia possibile, la disapplicazione delle norme interne confliggenti.
È infatti pacifico, come ribadito dalla Corte anche nella citata sentenza Gavieiro Gavieiro, che “qualora non possano procedere ad un’interpretazione e ad un’ applicazione della normativa nazionale conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e gli organi dell’amministrazione hanno l’obbligo di applicare integralmente quest’ultimo e di tutelare i diritti che esso attribuisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno”; del resto, nella stessa sentenza, la Corte ricorda che “la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego”: essa, pertanto, “è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da dipendenti pubblici temporanei dinanzi ad un giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il beneficio delle indennità per anzianità di servizio”>>.
La motivazione di cui sopra è ampiamente condivisa da questo Collegio, e da essa, pertanto non intende discostarsi.