lavoro interinale illegittimo e risarcimento del danno

Lavoro interinale illegittimo, costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e regime indennitario di cui all'art. 32 L 183/2010 
 
Cassazione civile  sez. lav. 17 gennaio 2013 n. 1148
 
In tema di lavoro interinale, l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 1997 consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate dalla norma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa; ne consegue che, ove la clausola sia indicata in termini generici, inidonei ad essere ricondotti ad una delle causali previste dal legislatore, il contratto è illegittimo, e, in applicazione del disposto di cui all'art. 10 della legge n. 196 del 1997, il rapporto si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore interponente.

In tema di lavoro interinale, l'indennità prevista dall'art. 32 l. 4 novembre 2010 n. 183, nel significato chiarito dal comma 13 dell'art. 1 l. 28 giugno 2012 n. 92, trova applicazione con riferimento a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo e si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell'illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a, comma 1, art. 3 l. 24 giugno 1997 n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.


In tema di lavoro interinale, la legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Ne consegue che l'illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e, quindi, l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo; inoltre, alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lg. 368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l'utilizzatore ed il lavoratore.
 

RAGIONI DELLA DECISIONE
 
1. Poste italiane spa chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Milano, pubblicata il 17 dicembre 2009, che ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale di Milano aveva accolto il ricorso di C.F..
 
2. Poste italiane spa stipulò con la Ali spa un contratto di fornitura di lavoro temporaneo, ai sensi della L. n. 196 del 1997. La società fornitrice, in base a tale contratto, avviò al lavoro presso Poste italiane spa C.F., per il periodo dal 4 gennaio al 30 aprile 2003; il rapporto fu prorogato due volte sino al termine finale del 14 gennaio 2004.
 
3. Il C. agì in giudizio sostenendo l'illegittimità del contratto per genericità della causale. Il Tribunale di Milano accolse il ricorso: dichiarò la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente tra il C. e Poste italiane spa, condannò la società al ripristino del rapporto e, per il passato, al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora, detratto quanto percepito dal lavoratore presso altri datori di lavoro.
 
4. La Corte d'appello ha confermato il giudizio del Tribunale sulla genericità della causale, così indicata nel contratto di fornitura:"Casi previsti dai ccnl della categoria di appartenenza dell'impresa utilizzatrice. Temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali. Sostituzione di lavoratori assenti".
 
Ha quindi, confermato l'interpretazione della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, e le conseguenze tratte dal Tribunale:
declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente tra il lavoratore e l'impresa utilizzatrice, condanna di quest'ultima al pagamento delle retribuzioni pregresse dal giorno della messa in mora, detratto quanto percepito dal lavoratore presso altri datori di lavoro.
 
5. Il ricorso per cassazione di Poste italiane spa è articolato in cinque motivi. Il C. si è difeso con controricorso.
 
6. Con il primo motivo la società denunzia "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)", assumendo che la sentenza incorre in una contraddizione perchè da un lato riconosce la correttezza formale del contratto di fornitura per il quale non era necessaria l'indicazione della causale e dall'altro ha posto in capo a Poste italiane spa, un'omissione contenuta invece nell'autonomo contratto tra impresa fornitrice e lavoratore. Un ulteriore vizio riguarderebbe la carenza di motivazione circa la pretesa automatica instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra utilizzatore e lavoratore.
 
7. La censura, prima ancora che infondata nel merito (e, peraltro, basata sulla attribuzione alla sentenza di una affermazione che questa non compie), è inammissibile, perchè il motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve riguardare la motivazione in ordine alla sussistenza di un fatto, che deve essere, a sua volta, controverso e decisivo. La società ricorrente non ha indicato il fatto, nè, tanto meno, ha spiegato perchè sarebbe controverso e decisivo. Per giurisprudenza consolidata, "Il motivo di ricorso con cui - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 - si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)" (Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805; Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).
 
8. Con il secondo motivo la società denunzia "violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, artt. 1, 3, e 10 (art. 360 c.p.c., n. 3)". Il vizio è così sintetizzato nel quesito di diritto: "Se, laddove l'impresa utilizzatrice non abbia violato alcuna delle disposizioni della L. n. 196 del 1997, art. 1 e sia stato stipulato un regolare contratto di fornitura, sia possibile applicare la disciplina di cui all'art. 10 della stessa legge o, comunque, dichiarare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore interinale a seguito della omessa indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di ricorso al lavoro interinale (art. 3, comma 3, lett. a)".
9. Connesso è il terzo motivo, con il quale parimenti si denunzia "violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, artt. 1, 3, e 10 (art. 360 c.p.c., n. 3)". Con il quesito di diritto a conclusione del motivo si chiede di stabilire se l'indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di ricorso al lavoro interinale sia essenziale; se le sanzioni previste dall'art. 10 siano tassative e non estensibili per analogia; se l'omissione di tale indicazione possa dar luogo alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore ed impresa beneficiaria, ancorchè tale sanzione non sia prevista dall'art. 10, che nel più grave caso di omissione di forma scritta del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo prevede la trasformazione del contratto a tempo indeterminato con l'impresa fornitrice".
10. I due motivi, in cui si denunzia la violazione delle medesime norme, sono connessi e devono essere esaminati congiuntamente. Essi pongono una serie di questioni, da trattare in ordine logico.
11. La norma di riferimento è la L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, che consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo nelle seguenti ipotesi: "a) nei casi previsti dai ccnl della categoria di appartenenza della impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; b) nei casi di temporanea utilizzazione di qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4" (che prevede le situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro temporaneo).
 
12. La causale indicata nel contratto di fornitura in esame è la seguente: "Casi previsti dai ccnl della categoria di appartenenza dell'impresa utilizzatrice. Temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali. Sostituzione di lavoratori assenti".
 
13. Il contratto, pertanto, invece di specificare la causale all'interno delle categorie consentite dalla legge, si limita a parafrasare il testo della legge, peraltro con riferimento indistinto a tutte e tre le categorie, senza compiere alcuna specificazione (ad. es. quanto alla lett. a), non si specifica a quali contratti collettivi nazionali si fa riferimento, nè, tanto meno, come sarebbe necessario, a quale delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva si fa riferimento. Oppure, in relazione alla ipotesi sub b) non si specifica quali sarebbero le "qualifiche non previste" dai normali assetti produttivi aziendali, e così via).
 
14. La genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1, commi 1 e 2, che consente la stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel comma 2, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, nè può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa.
 
15. Altro problema, poi, è quello di stabilire, a fronte di un contratto di fornitura illegittimo, quali sanzioni sono previste dalla legge e nei confronti di quali soggetti. Le legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Per scelta legislativa i vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia interinale e impresa utilizzatrice si riverberano sul contratto di lavoro.
 
16. L'illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l'art. 10, comma 1, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel fatto che "i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni".
 
17. In tal senso questa Corte si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass. 24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714 alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori approfondimenti.
 
18. Le medesime sentenze hanno precisato che alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal decreto legislativo 368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l'utilizzatore ed il lavoratore (sul punto, v. anche: Cass. 8 maggio 2012 n. 6933).
 
19. L'effetto finale è la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l'utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore.
 
20. Pertanto, la conclusione cui sono giunti il Tribunale e la Corte d'appello di Milano è pienamente conforme alla legge ed il terzo ed il quarto motivo di ricorso devono essere rigettati.
 
21. Il quarto ed il quinto motivo concernono il risarcimento del danno relativo al periodo precedente la sentenza che ha disposto la conversione del rapporto. I giudici di merito, come si è visto, hanno condannato Poste italiane spa a corrispondere le retribuzioni maturate a decorrere dalla messa in mora e con detrazione delle somme percepite in tale periodo in forza di altri rapporti di lavoro.
 
22. Il quarto motivo concerne il tema dei requisiti della messa in mora, il quinto riguarda l'applicabilità al caso in esame della L. n. 183 del 2010, art. 32.
 
23. Quest'ultimo motivo, che, seguendo l'ordine logico delle questioni, deve essere affrontato per primo, è parzialmente fondato.
 
24. La L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, recita: "nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8".
25. Il problema interpretativo che si è posto è quello di stabilire se la formula "casi di conversione del contratto a tempo determinato", riguardi esclusivamente i contratti a termine o anche i contratti di lavoro temporaneo.
26. Al problema la giurisprudenza di merito ha dato soluzioni diverse, nessuna delle quali può dirsi prevalente. Anche la Corte costituzionale ha dato un'indicazione, ma non vincolante e limitata ad un inciso, peraltro riguardante il contratto di somministrazione, in una sentenza focalizzata su altro problema.
27. In sede nomofilattica deve ritenersi che il comma 5, dell'art. 32 cit. riguardi anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 3, comma 1, lett. a).
28. Deve in primo luogo rilevarsi che il comma 5, dell'art. 32 non richiama la disciplina del lavoro a termine, richiamo che, al contrario, (e il dato deve essere sottolineato) il legislatore compie nel comma precedente (il quarto) in cui si parla di "contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1, 2 e 4" (lett. a) e dei contratti di lavoro a termine stipulati in base a leggi previgenti rispetto a quel decreto legislativo (lett. b), oltre che di "ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto" (lett. d).
29. Nel comma 4, pertanto, il legislatore è analitico e indica, per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento.
30. Il comma 5, al contrario, contiene una formulazione unitaria, indistinta e generale. Si parla di "casi" di "conversione del contratto a tempo determinato" senza indicare normative di riferimento, nè aggiungere ulteriori elementi selettivi.
31. Quindi, per sapere se si rientra nell'ambito della norma, bisogna verificare la sussistenza di due (sole) condizioni; 1. se il contratto sia a tempo determinato e 2. se vi sia un fenomeno di conversione.
32. Il "contratto per prestazioni di lavoro temporaneo" è previsto e regolato dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, che così lo definisce nell'art. 3, comma 1: "...è il contratto con il quale l'impresa fornitrice assume il lavoratore: a) a tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa presso l'impresa utilizzatrice; b) a tempo indeterminato".
33. Quindi la legge prevede due categorie di contratti per prestazioni di lavoro temporaneo: a tempo determinato e a tempo indeterminato. Il contratto di lavoro temporaneo della prima categoria è espressamente qualificato dal legislatore come una forma di contratto di lavoro a tempo determinato. Il contratto oggetto della presente controversia è di quel tipo.
34. Il problema diviene allora quello di stabilire se, quando il contratto in esame rientri nella lett. a) (sia stato stipulato a tempo determinato) e ricorrano le ipotesi di illegittimità previste dall'art. 10, i meccanismi sanzionatori previsti dalla legge integrino o meno un fenomeno qualificabile come "conversione".
35. L'espressione "conversione", in materia di contratti a tempo determinato, viene utilizzata in dottrina e giurisprudenza per descrivere il meccanismo in base al quale la nullità della clausola di apposizione del termine, non comporta la nullità dell'intero contratto, ma la sua elisione, secondo il meccanismo delineato dall'art. 1419 c.c., comma 2, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato. L'operatività di questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal sistema normativo generale e da quanto disposto dal codice civile, in altri è previsto espressamente dalla legge. E' ciò che accade, nella L. n. 196 del 1997, il cui art. 10, prevede varie ipotesi, compresa quella ricorrente nel caso in esame, in cui il contratto di prestazioni di lavoro temporaneo, in presenza di una ragione di nullità della clausola termine, "si considera a tempo indeterminato".
36. La conversione è l'effetto previsto dalla L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, in cui si dispone che nel caso di mancanza di forma scritta del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, il lavoratore che presti la sua attività a favore dell'impresa utilizzatrice "si considera assunto da quest'ultima con contratto di lavoro a tempo indeterminato". Ma identico effetto si ha nel caso della sanzione prevista dal comma 1, in cui la conversione è duplice. Prima, come si è visto, ai sensi della L. n. 1369 del 1960 (conversione soggettiva ex art. 1, u.c., di tale legge per cui i lavoratori "sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze" dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni"); poi, se si è in presenza di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato (art. 3, comma 1, lett. a), ai sensi della disciplina sul contratto a termine. Anche nell'ulteriore ipotesi, sanzionata dalla L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 3 (riguardante il caso in cui la prestazione di lavoro temporaneo sia continuata dopo la scadenza del termine e sia proseguita oltre il decimo giorno successivo alla scadenza) "il lavoratore si considera assunto a tempo indeterminato dall'impresa utilizzatrice".
37. Pertanto, anche con riferimento al contratto di prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, in presenza delle ipotesi su indicate, si ha un fenomeno di "conversione".
38. L'ampiezza della formula utilizzata dalla norma e la mancanza di ulteriori precisazioni da parte del legislatore, rende irrilevante che in alcuni di questi casi, la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato sia preceduta da una conversione soggettiva del rapporto. La norma richiede solo che si sia in presenza di uno dei "casi di conversione del contratto a tempo determinato".
 
39. Nè rileva che il vizio che determina il meccanismo sanzionatorio possa riguardare anche il contratto di fornitura, cioè il contratto commerciale che sta a monte del contratto per prestazione di lavoro temporaneo. Anche questo elemento, come si è visto, non esclude che l'esito sia la conversione del rapporto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
40. L'espressione "casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato", senza ulteriori precisazioni, non esclude, in conclusione, che il fenomeno di conversione possa avvenire nei confronti dell'utilizzatore effettivo della prestazione, nè che possa essere l'effetto sanzionatorio di un vizio concernente il contratto di fornitura.
41. Deve aggiungersi che il legislatore è intervenuto sulla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, con una norma interpretativa, la L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 13, che si esprime così: "La disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro".
42. I profili della interpretazione autentica sono molteplici. Ai fini del problema in esame, l'utilizzazione del termine ricostituzione vuole probabilmente indicare che il concetto di conversione comprende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche di natura costitutiva, quale potrebbe essere considerato quello previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, con riferimento alla somministrazione irregolare (non anche quello previsto dall'art. 21, u.c., del medesimo decreto legislativo). In materia di lavoro temporaneo ai sensi della L. n. 196 del 1997, il problema non si pone perchè non vi è alcuna espressione legislativa che possa far pensare ad provvedimento costitutivo e non dichiarativo, e comunque, a seguito dell'intervento legislativo, se anche si ponesse, sarebbe chiarito dalla norma interpretativa.
43. Deve, infine, ricordarsi che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la L. n. 183 del 2010, art. 32, si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo della decisione di secondo, o già di primo grado, non si sia formato il giudicato (Cass. 3 gennaio 2011 n. 65; 4 gennaio 2011 n. 80; 2 febbraio 2011 n. 2452 e molte altre successive sempre nel medesimo senso).
44. Il motivo pertanto deve essere accolto, sebbene in parte, perchè, contrariamente a quanto assume l'impresa ricorrente, l'indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, non è compatibile con la detrazione delle somme percepite a titolo di "aliunde perceptum" dal lavoratore disposta dai giudici di merito (cfr. sul punto, in particolare, Cass. 7 settembre 2012 n. 14996).
Nel condannare la società al pagamento della indennità, il giudice di rinvio non dovrà pertanto disporre la sottrazione di tali somme.
45. L'accoglimento del motivo concernente l'indennità ex art. 32 comporta l'assorbimento del motivo relativo alla messa in mora. Anche questo profilo, diventa irrilevante una volta ritenuta applicabile l'indennità ex art. 32, che prescinde dalla messa in mora (cfr.
ancora, per tutte, Cass. 14996/2012, cit.).
46. In conclusione: il primo motivo di ricorso è inammissibile; il secondo ed il terzo sono infondati; il quarto rimane assorbito. Il quinto deve essere accolto, nei limiti di quanto su specificato, in base al seguente principio di diritto: "L'indennità prevista dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell'illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 3, comma 1, lett. a), convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione".
47. L'accoglimento parziale del quinto motivo comporta la cassazione della sentenza in ordine al motivo accolto ed il rinvio alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione, anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
 
 
 
La sentenza in epigrafe giunge ad un'interpretazione dell'art. 32, comma 5, in linea con quella espressa dall'orientamento giurisprudenziale meno restrittivo, escludendo, pertanto, che l'indennità onnicomprensiva introdotta dalla l. n. 183/2010 possa operare limitatamente ai casi di illegittimità del termine del contratto di lavoro a tempo determinato. Il punto fondamentale da cui muove il Supremo Collegio è rappresentato dalla locuzione “conversione”. Secondo il ragionamento espresso dalla Corte, per comprendere se si rientri nel campo di applicazione dell'art 32, comma 5, andrebbero verificate due condizioni: in primo luogo, deve venire in rilievo un contratto a tempo determinato e, in secondo luogo, tale contratto deve “convertirsi” in un contratto a tempo indeterminato. Ebbene, secondo la sentenza annotata, entrambe le condizioni sussisterebbero nell'ipotesi in esame. Precisato che ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a, l. n. 196/1997, il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo può legittimamente essere concluso a tempo determinato, l'esito del meccanismo rimediale predisposto dall'ordinamento nei casi di violazione della disciplina del lavoro interinale, non potrebbe che leggersi, secondo la Corte, in termini di conversione. Secondo il giudice di legittimità, infatti, a tale conclusione si perverrebbe poiché, una volta accertata l'illegittimità del contratto di fornitura e quindi “considerato” il lavoratore, ai sensi della richiamata l. n. 1369/1960, alle dipendenze dell'utilizzatore, il contratto imputato in capo a quest'ultimo, in ragione dell'intrinseca carenza dei requisiti richiesti per la valida apposizione del termine, finirebbe senz'altro per “convertirsi” in un contratto a tempo indeterminato. Peraltro, è utile considerare, che, secondo la Cassazione, tale sbocco sanzionatorio opererebbe anche per le ipotesi di mancanza di forma scritta del contratto di fornitura nonché nel caso il cui la prestazione di lavoro temporaneo si prolunghi di fatto oltre il termine dei 10 giorni successivi alla scadenza. Ipotesi per le quali la legge, in modo più diretto, dispone che il lavoratore si considera assunto dall'impresa utilizzatrice con contratto di lavoro a tempo indeterminato. In definitiva, la sentenza in esame offre, allo stesso modo di altre sopra citate pronunce, nonché facendo proprie le considerazioni avanzate da parte della dottrina, un'interpretazione estensiva della nozione di “conversione”, che si realizzerebbe, invero, anche nel caso in cui la “trasformazione” del contratto da tempo determinato in contratto a tempo indeterminato sia preceduta dalla conversione soggettiva del rapporto.
 
Detto ciò, non v'è dubbio che la lettura offerta dalla Corte, sebbene riferita ratione temporis ad un'ipotesi regolata dalla l. n. 196/1997, sia capace di riflettersi pure nell'ambito della somministrazione a termine irregolare, tant'è che la sentenza in commento non si è limitata a specificare che il fenomeno della conversione possa avvenire nei confronti dell'utilizzatore effettivo della prestazione, né che possa essere l'effetto sanzionatorio di un vizio relativo al contratto di fornitura, ma, in sede di interpretazione dell'art. 1, comma 13, della l. n. 92/2012 – a mente del quale «la disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro» – ha precisato che l'utilizzazione del termine ricostituzione significa che il concetto di “conversione” comprende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche di natura costitutiva, quale potrebbe essere considerato quello previsto dall'art. 27, del d.lgs. n. 276/2003, con riferimento alla somministrazione irregolare
 
Va da sé che, accogliendo la tesi dell'applicabilità alla somministrazione irregolare del regime indennitario previsto dall'art. 32, comma 5, il lavoratore, vittorioso in giudizio, avrà diritto quale ristoro dei pregiudizi subiti solamente ad un importo compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità, dovendosi escludere qualsiasi diritto ad ottenere un ulteriore risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale. Per contro, non solo non sarà detraibile l'aliunde perceptum dall'indennità risarcitoria, essendo la relativa disciplina derogatoria della disciplina generale di diritto comune, ma l'indennità dovrà essere corrisposta quand'anche il lavoratore non avesse provveduto a mettere preventivamente in mora il datore di lavoro offrendo la propria prestazione lavorativa (C. cost. n. 303/2011, cit.; Cass. 29 febbraio 2012, n. 3056, in Ngl, 2012, 166).
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