Il regime giuridico del licenziamento del lavoratore durante il periodo di prova, il riparto degli oneri di allegazione e prova ed il regime del risarcimento del danno conseguente all'accertamento dell'invalidità del licenziamento
Il terzo comma dell'art. 2096 c.c. stabilisce che durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. L'art. 10 della legge n 604 del 1966 stabilisce, poi, che le norme dettate dalla stessa legge in materia di licenziamenti individuali si applicano, per i lavoratori in prova, solo dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva o dopo il decorso di sei mesi.
La giurisprudenza formatasi in ordine al licenziamento intimato durante il periodo di prova ha enunciato il principio fondamentale secondo cui tale atto di recesso non è soggetto all'onere della motivazione (dovendosi esclusivamente esplicitare che esso dipende dal mancato superamento della prova) essendo onere della parte (verosimilmente il lavoratore) che eccepisca la strumentalità della motivazione dimostrare che il reale motivo sia estraneo allo svolgimento della prova.
Tale dimostrazione sarà agevole in alcuni casi.
Nella giurisprudenza si riscontra, ad esempio, l'affermazione dell'illegittimità del recesso durante il periodo di prova nel caso in cui il lavoratore abbia già svolto in precedenza e per un lungo periodo di tempo le medesime mansioni oggetto della successiva assunzione con patto di prova.
Si osserva, altresì, come l'adibizione del lavoratore a mansioni radicalmente diverse da quelle oggetto del patto di prova dimostri, di per sè, la strumentalità del patto, rendendo pertanto illegittimo il licenziamento.
In via generale, si rinviene sovente l'enunciazione del principio per cui il lavoratore che eccepisca l'invalidità del licenziamento, sia chiamato a fornire la prova del positivo superamento della prova e del motivo illecito (eventualmente in via induttiva) che abbia determinato il recesso ovvero, alternativamente, debba allegare che il periodo di lavoro non sia stato sufficiente a fornire la prova dell'idoneità del lavoratore all'impiego.
Ricordando come l'art. 10 della legge n. 604 del 1966 escluda l'applicabilità della disciplina della stessa legge ai licenziamenti intimati nel periodo di prova, la S.C. ha chiarito che il regime risarcitorio conseguente all'accertamento dell'invaldità del licenziamento durante il periodo di prova sia quello delle retribuzioni maturate dal licenziamento sino alla reintegra.
Art. 2096 c.c.
Assunzione in prova.
[I]. Salvo diversa disposizione [delle norme corporative] (1), l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto [1350].
[II]. L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.
[III]. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine (2).
[IV]. Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.
(1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.
(2) La Corte cost., con sentenza 22 dicembre 1980, n. 189 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non riconosce il diritto alla indennità di anzianità di cui agli articoli 2120 e 2121 del codice civile al lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo».
Legge n 604/1966
Art. 10.
Le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'articolo 2095 del Codice civile e, per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro (1).
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 4 febbraio 1970, n. 14, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non comprende gli apprendisti tra i beneficiari dell'indennità dovuta ai sensi dell'articolo 9 della presente legge. La Corte costituzionale, con sentenza 28 novembre 1973, n. 169, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui esclude gli apprendisti dall'applicabilità nei loro confronti degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11, 12, 13 di questa legge, nel corso del rapporto di apprendistato. La Corte costituzionale, con sentenza 16 dicembre 1980, n. 189, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui esclude il diritto del prestatore di lavoro, che riveste la qualifica di impiegato o di operaio ai sensi dell'art. 2095 c.c. a percepire l'indennità di anzianità di cui all'art. 9 di questa legge, quando assunto in prova e licenziato durante il periodo di prova medesimo. La Corte costituzionale, con sentenza 3 aprile 1987, n. 96, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede l'applicabilità di questa legge al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione. La Corte costituzionale, con sentenza 31 gennaio 1991, n. 41, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede l'applicabilità di questa legge al personale navigante delle imprese di navigazione (aerea).
Cassazione civile sez. lav. 10/09/2012 n 15100
In tema di lavoro con patto di prova, l'art. 2096 c.c. — secondo il quale, scaduto il termine di durata della prova, ciascuna parte può recedere dal rapporto, divenendo in caso contrario definitiva l'assunzione — si riferisce al caso in cui, alla scadenza del termine, il rapporto di lavoro continui a svolgersi e non a quello in cui le prestazioni lavorative cessino alla scadenza e la volontà di recedere del datore venga recepita successivamente dal lavoratore; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il rapporto cessa al momento della ricezione del licenziamento.
Cassazione civile sez. lav. 17/11/2010 n 23224
A norma degli artt. 2096 c.c. e 10 della legge n. 604/1966, il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova è sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali ed è caratterizzato dal potere di recesso del datore di lavoro, la cui discrezionalità si esplica senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione, sulla valutazione delle capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso. Detta discrezionalità, peraltro, non è assoluta e deve essere coerente con la causa del patto di prova, sicché il lavoratore che non dimostri il positivo superamento dell’esperimento nonché l’imputabilità del recesso del datore a un motivo estraneo a tale causa, e quindi illecito, non può eccepire né dedurre la nullità del licenziamento in sede giurisdizionale.
Devono anzitutto ricordarsi i principi consolidati, affermati costantemente in argomento da questa Corte (ex plurimis, Cass. n. 7644/1998), anche in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale 22 dicembre 1980 n. 189 che, in tema di patto di prova, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2096 c.c., comma 3, e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 10, con riferimento all'art. 3 Cost., commi 1 e 2, artt. 4 e 35 Cost., e art. 41 Cost., comma 2, ha specificato nozione e contenuto della "discrezionalità" del datore di lavoro nel recedere durante l'esperimento.
Va ribadito, così, che, a norma dell'art. 2096 c.c., e L. n. 604 del 1966, art. 10, il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova è sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed è caratterizzato dal potere di recesso del datore di lavoro, la cui discrezionalità si esplica senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione, sulla valutazione delle capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso: rilevandosi, peraltro, che detta discrezionalità non è assoluta, e deve essere coerente con la causa del patto di prova, sicchè il lavoratore, che non dimostri il positivo superamento dell'esperimento nonchè la imputabilità del recesso del datore a un motivo estraneo a tale causa, e quindi illecito, non può eccepire nè dedurre la nullità del licenziamento in sede giurisdizionale.
Giova pure ricordare al riguardo che scopo dell'esperimento in prova è quello di fare acquisire alle parti sufficienti e adeguati elementi di valutazione sulla reciproca loro convenienza di addivenire a un rapporto di lavoro definitivo: valutazione che è pertanto esclusivamente rimessa al giudizio e alla libera disponibilità delle stesse, le quali sono dunque pienamente libere di ritenere od escludere siffatta convenienza. E pertanto l'avvenuto positivo superamento, da parte del lavoratore, dell'esperimento non è, di per sè solo, sindacabile in sede giudiziale, nè può, di per sè, offrire la dimostrazione, pur presuntiva o per implicito, di un motivo illecito (ex artt. 1345 e 1418 c.c.) del recesso del datore di lavoro in pendenza del periodo di prova.
Un siffatto illecito motivo, quale ragione di nullità di quel recesso, può ritenersi provato in giudizio solo quando, oltre all'avvenuto positivo superamento dell'esperimento, siano dimostrati precisi e specifici fatti concreti i quali comprovino che il recesso non era in alcun modo ricollegabile all'esperimento stesso nè al suo esito, ma era dovuto a ragioni del tutto estranee alla sua realizzazione ed alla causa del patto di prova e che integravano dunque così l'unico e determinante motivo (appunto illecito) della decisione del datore di recedere dal rapporto.
Cassazione civile sez. lav. 27/10/2010 n 21965
In caso di accertata nullità del licenziamento del lavoratore in prova, escluso il ricorso ai rimedi sanzionatori previsti dall'art. 18 l. n. 300 del 1970, ben può, tuttavia, riconoscersi il diritto del lavoratore al risarcimento del danno secondo i principi comuni e, quindi, tenendo conto anche delle utilità economiche che lo stesso avrebbe percepito ove il recesso non fosse stato determinato da finalità illecite o, comunque, fraudolente e l'esperimento avesse avuto regolare svolgimento. In particolare, ove si accerti il positivo superamento della prova, deve ritenersi che correttamente il giudice di merito provveda a quantificare il danno con riferimento alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito ove il rapporto di lavoro avesse avuto regolare esecuzione, ricollegandosi lo scioglimento del rapporto a un comportamento antigiuridico del datore di lavoro e determinando tale comportamento un danno risarcibile qualificabile come pregiudizio da mancata assunzione.
Cassazione civile sez. lav. 14/10/2009 n 21784
Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova. (Fattispecie relativa a patto di prova stipulato con lavoratore invalido assunto in base alla l. 2 aprile 1968 n. 482).
Cassazione civile sez. lav. 05/12/2007 n 25301
Il recesso del datore durante il periodo di prova è da ritenersi illegittimo se il dipendente è stato adibito a mansioni radicalmente diverse da quelle pattuite: in questa circostanza il rapporto deve considerarsi a tempo indeterminato con tutte le conseguenze del caso (il recesso deve essere sorretto da giusta causa, mancando quest’ultima, scatta la reintegra nel posto di lavoro e il pagamento a titolo risarcitorio delle retribuzioni maturate); diversamente, nel caso di assegnazione a mansioni che semplicemente non coincidono con quelle per cui il dipendente è stato assunto, il lavoratore avrà diritto alla prosecuzione della prova (se è possibile) oppure al risarcimento del danno.
Cassazione civile sez. lav. 13/08/2008 21586
In tema di obbligo di motivare il recesso in periodo di prova, con riferimento al lavoro pubblico, è verificabile in giudizio la congruità delle ragioni rispetto, da un lato, alla finalità per legge della prova e, dall'altro, all'effettivo andamento della prova stessa, senza che resti escluso il potere di valutazione discrezionale dell'Amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova alla giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, e dovendosi escludere che l'obbligo di motivazione possa spostare l'onere delle prova sul datore di lavoro.
Cassazione civile sez. lav. 27/02/2008 n 5103
Il mancato superamento del periodo di prova costituisce un giustificato motivo di licenziamento, che deve essere esplicitamente indicato come tale; l'atto di recesso del datore, infatti, ha natura formale e deve contenere una motivazione completa e inequivoca.
Cassazione civile sez. lav. 08/01/2008 138
Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto, sicché deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già avvenuta con esito positivo nelle specifiche mansioni e per avere in precedenza il lavoratore prestato per un congruo tempo la propria opera per il datore di lavoro (in applicazione del suddetto principio la Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova intimato al lavoratore che, dopo un primo contratto di lavoro protrattosi per cinque anni e conclusosi per dimissioni dello stesso motivate con ragioni di famiglia, aveva concluso con il datore di lavoro – a distanza di circa quattro mesi dalla cessazione del primo rapporto – altro contratto di lavoro a termine con medesima qualifica e con patto di prova, il cui mancato superamento aveva giustificato, a detta del datore, il licenziamento).
Tribunale Torino sez. lav. 30/01/2007
Il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di prova, motivato dal mancato superamento di quest’ultima, è contestabile dal lavoratore solo provando il positivo superamento dell’esperimento o l’inadeguatezza di quest’ultimo, ovvero l’imputabilità del recesso ad un motivo estraneo ad esso. Essendo stato intimato il licenziamento in un periodo in cui il legislatore ha sancito la libera recedibilità "ad nutum", senza necessità di giustificazione e senza possibilità di sindacato giudiziale sulla stessa, il giudice può solo verificare se le modalità della prova siano state tali da renderla manifestamente inidonea o se i risultati siano stati tali da rendere manifestamente errata e pretestuosa la valutazione negativa ed evidente che la prova è stata superata positivamente, ma non può sostituirsi al datore di lavoro né nella scelta delle mansioni, né nella valutazione dei risultati della prova. Pertanto in caso di licenziamento comminato a tre giorni dal termine del semestre, la durata della valutazione della prova non può che ritenersi positiva.
Cassazione civile sez. lav. 10/10/2006 n 21698
Con riguardo al rapporto di lavoro costituito con patto di prova, la facoltà di recesso prevista dal comma 3 dell'art. 2096 c.c. soggiace all'unico limite - oltre quello temporale dell'adeguatezza della durata della prova - della mancanza di un motivo illecito ed è consentita non solo al termine ma, salvo che l'esperimento sia stato stabilito per un tempo minimo necessario, anche nel corso del periodo di prova. Tale periodo, ancorché fissato in un semestre, rimane sospeso per malattia o infortunio del lavoratore, senza che a ciò sia di ostacolo la previsione dell'art. 10 della legge n. 604 del 1966 (secondo cui le norme della stessa legge si applicano, nei confronti dei lavoratori assunti in prova, "dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro"), non potendo prescindersi, nell'interpretazione della suddetta norma, dal rilievo che essa è posta nell'interesse precipuo del lavoratore ed atteso che l'indicata sospensione produce l'effetto di arrestare il decorso del periodo di prova senza dilatarne la durata. Questo principio non comporta un'alterazione dell'equilibrio originario delle posizioni delle parti, poiché il prolungamento del periodo di prova ha effetto reciprocamente sia a favore che a sfavore tanto del lavoratore che del datore di lavoro. In particolare, il prestatore di lavoro avrà modo di espletare fino in fondo l'esperimento e di dare così prova pienamente delle proprie capacità, mentre il datore di lavoro avrà tutto il tempo necessario per verificare queste capacità e, quindi, entrambe le parti avranno la possibilità di decidere se proseguire il rapporto convertendolo in una delle forme definitive previste dalla legge, o, invece, interromperlo .
Cassazione civile sez. lav. 27/01/2004 n 1458
Nell'ipotesi di patto di prova legittimamente stipulato con uno dei soggetti protetti assunti in base alla l. 2 aprile 1968 n. 482, il recesso dell'imprenditore durante il periodo di prova è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale anche per quanto riguarda l'onere dell'adozione della forma scritta, e non richiede pertanto una formale comunicazione delle ragioni del recesso; la manifestazione di volontà del datore di lavoro, in quanto riferita all'esperimento in corso, si qualifica del resto come valutazione negativa dello stesso, e comporta, senza necessità di ulteriori indicazioni, la definitiva e vincolante identificazione della ragione che giustifica l'esercizio del potere di recesso.