La Corte di cassazione ha avuto modo di enunciare i principi cardine in materia di giurisdizione con riferimento alle controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale italiano di ambasciate e consolati di stati stranieri in Italia.
In linea generale può affermarsi che la giurisdizione del giudice italiano va affermata non soltanto allorquando si tratti di dipendenti con mansioni meramente ausiliarie, ma anche nel caso di dipendenti con mansioni di collaborazione presso l’ufficio straniero, ove la domanda sia indirizzata solo al conseguimento di spettanze retributive o comunque investa esclusivamente questioni patrimoniali (Cass. sez. un. n. 2319/1989).
Ne consegue che un'eventuale richiesta di accertamento dell'illegittimità di un licenziamento e le connesse istanze risarcitorie non possa essere scrutinata dal giudice italiano ove la pronuncia richiesta implichi l’esame e la valutazione della struttura organizzativa degli uffici dello stato e l'ingerenza in tale sfera.
Stabilire, infatti, se un atto di recesso adottato dall’Ambasciata di uno stato estero sia o meno lecito implica infatti una valutazione sulle scelte attinenti la sfera propria dell’organizzazione di uffici pubblici stranieri.
“E’da premettere che questa Corte, a Sezioni unite, ha statuito con ri-guardo alle controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale italiano dei consolati e delle ambasciate straniere in Italia, che sussiste il difetto di giurisdizione del giudice italiano per effetto dell’immunità consolare quando la pronuncia comporti interferenza sull’organizzazione dell’ufficio straniero – come nel caso d’impugnativa del licenziamento con domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. sez. un. 12315/1992). I giudici di legittimità hanno rimarcato che la giurisdizione del giudice italiano va affermata non soltanto allorquando si tratti di dipendenti con mansioni meramente ausiliarie, ma anche nel caso di dipendenti con mansioni di collaborazione presso l’ufficio straniero, ove la domanda sia indirizzata solo al conseguimento di spettanze retributive o comunque investa esclusivamente questioni patrimoniali (Cass. sez. un. n. 2319/1989). Tale conclusione risulta in linea con l’indirizzo di queste Sezioni unite volto a contemperare l’esigenza di assicurare il riconoscimento delle prerogative proprie di uno Stato estero con la tutela dei diritti dei cittadini italiani lavoratori.
Questa Corte ha abbandonato da tempo la tesi dell’“immunità diffusa” per accogliere, invece, il principio dell’“immunità ristretta o relativa”. Co-me è stato al riguardo precisato, quest’ltima teoria risponde, ormai, al diritto internazionale consuetudinario sicché può affermarsi che l’senzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata agli atti iure imperii (a quegli atti, cioè, attraverso i quali si esplica l’sercizio delle funzioni pubbliche statali) e non si estende invece agli atti iure gestionis o iure privatorum (ossia agli atti aventi carattere privatistico, come l’acquisto di un immobile a titolo di investimento o all’emissione di prestiti obbligazionari).
Ed analoghe restrizioni in termini di immunità di giurisdizione si riscontrano per quanto attiene ad attività lavorative di natura pubblicistica in relazione alle quali si osserva nella giurisprudenza il graduale ma, in tempi recenti, costante riconoscimento della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano sulla base, non più della natura delle funzioni in concreto spiegate dal lavoratore, ma sulla base dell’impatto della decisione giudiziaria richiesta sui poteri sovrani dello Stato estero, con la conseguenza di assegnare rilevanza decisiva – ai fini dell’attribuzione della giurisdizione al giudice italiano – alla natura patrimoniale delle controversia di lavoro.
Alla stregua dell’indicato criterio – e nella direzione di una regola consuetudinaria di generale applicazione, recepita dall’ordinamento italiano in virtù del richiamo dell’art. 10 Cost. – l’esenzione dello Stato straniero dalla giurisdizione nazionale viene meno, quindi, non solo nel caso di controversie relative a rapporti di lavoro aventi per oggetto l’esecuzione di attività meramente ausiliarie delle funzioni istituzionali degli enti convenuti, ma anche nel caso di controversie promosse dai dipendenti allorquando la decisione richiesta al giudice italiano, attenendo ad aspetti solo patrimoniali, sia inidonea ad incidere o ad interferire sulle funzioni dello Stato sovrano (da ultimo, ex plurimis, Cass. Sez. un. nn. 17087/2003 e 13711/2004, n. 15628/2006).
Invero, al fine della giurisdizione del giudice nazionale è richiesto che l’esame e l’indagine sulla fondatezza della domanda dei lavoratori non com-porti apprezzamenti, indagini o statuizioni che possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero (o di un ente pubblico attraverso il quale detto Stato opera per perseguire anche in via indiretta le sue finalità istituzionali), espressione dei suoi poteri sovrani di autorganizzazione, vigendo in tali casi il principio generale par in parem non habet iurisdictionem” (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 17/01/2007, n. 880; v. anche, ex plurimis, Cass. S.U. n. 15626/2006).
“Nell’ulteriore elaborazione giurisprudenziale si è precisato che, pur in presenza di mansioni correlate alle attività istituzionali dell’ente sovrano, la immunità ricorre anche nel caso di pretese a contenuto patrimoniale, sempre che il riconoscimento delle stesse richieda apprezzamenti ed indagini sull’esercizio dei poteri sovrani dello Stato straniero. Alla stregua di tale principio non è controversa la esclusione della giurisdizione nel caso di domanda diretta alla reintegrazione nel posto di lavoro (tra le varie, conformi Cass. 19 aprile 1990 n. 3248, 18 novembre 1992 n. 12315, 8 giugno 1994 n. 5565, 21 aprile 1995 n. 4463); ovvero diretta al riconoscimento di un trattamento economico più favorevole per lo svolgimento di mansioni superiori (Cass. 16 gennaio 1990 n. 145, 9 settembre 1997 n. 8768). In questo stesso ordine di considerazioni si colloca Cass. 28 novembre 1991 n. 12771, che, partendo dalla considerazione che compete al giudice il riscontro degli elementi costitutivi dell’azione, al di là delle prospettazioni delle parti, ha affermato che il collegamento tra petitum e causa petendi può richiedere una valutazione ed una decisione ostativa all’esercizio della giurisdizione: questo si verifica nel caso in cui una pretesa meramente pecuniaria richieda una indagine sul comportamento tenuto dal datore di lavoro in occasione del licenziamento, dato che una siffatta indagine investe in modo diretto l’esercizio di poteri pubblicistici relativi alla organizzazione degli uffici ed alla gestione dei rapporti di lavoro” (Cass. civ., Sez. Unite, 20/04/1998, n. 4017; v. anche, da ultimo, Cass. S.U. 1.12.2009, n. 25265).