quietanze a saldo dei lavoratori, valore di rinunce o transazioni ex art. 2113 c.c. e conseguenti forme di impugnazione nella giurisprudenza della Suprema Corte
L'art. 2113 c.c. prevede l'invalidità di rinunce e transazioni che abbiano ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili ed un termine decadenziale di sei mesi dalla cessazione del rapporto lavorativo (o dalla rinuncia/transazione se successiva) per l'impugnativa.
Si è posta dunque in giurisprudenza la questione del valore delle cc.dd. quietanze a saldo sottoscritte dal lavoratore all'atto del ricevimento di somme da parte del datore di lavoro in quanto, ove dette quietanze a saldo rivestissero il valore di rinunce o di transazioni, sarebbe onere del lavoratore quello di impugnarle entro il termine di decadenza di 6 mesi.
Ove al contrario le quietanze a saldo fossero interpretate quali mere dichiarazioni di opinione, il termine per far valere eventuali diritti del lavoratore rimasti insoddisfatti sarebbe quello ordinario di prescrizione.
Secondo il consolidato indirizzo della Suprema Corte, una quietanza a saldo che sia formulata in chiave generica e con la quale il lavoratore, ricevendo una determinata somma, dichiara di ritenersi soddisfatto e di non avere più nulla a pretendere rappresenta solo una manifestazione di convincimento del lavoratore senza alcun intento abdicativo.
Si tratta in sostanza di una mera dichiarazione di opinione priva di qualsivoglia efficacia negoziale. Ne consegue l'impossibilità di applicare il termine decadenziale di impugnativa di cui all'art. 2113 c.c. e la possibilità, per il lavoratore, di promuovere un giudizio volto al conseguimento di eventuali diritti violati dal datore nel termine di prescrizione ordinario.
Più di recente, tuttavia, la Suprema Corte è intervenuta per specificare che la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore può assumere il valore di una rinuncia o di una transazione, se interpretando il documento, anche unito ad altre specifiche circostanze viene accertato che essa è stata rilasciata con la consapevolezza e il cosciente intento di abdicare o di transigere su diritti determinati o obiettivamente determinabili (cfr. Cass. 25-10-2007, n. 22354).
Se, al contrario, la quietanza a saldo contiente solo una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto essa è assimilabile ad una clausola di stile e non è sufficiente di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato (cfr. Cass Civ Sez Lav n 11536 del 17 maggio 2006)
Cassazione civile sez. lav. 14 dicembre 2009 n. 26165
In tema di quietanze a saldo o liberatorie sottoscritte dal lavoratore al termine del rapporto, ove la dichiarazione di rinuncia a maggiori somme sia riferita, in termini generici, a titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, essa può assumere valore di rinuncia alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre circostanze desumibili "aliunde", che essa è stata rilasciata con la consapevolezza della esistenza di diritti determinati o obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha escluso che la quietanza a saldo sottoscritta a suo tempo dal dipendente, che successivamente aveva lamentato una malattia professionale, fosse idonea di per sé a salvaguardare il datore dal risarcimento del danno biologico, e ciò anche se il lavoratore all'epoca della firma della liberatoria aveva già chiesto all'Inail una rendita vitalizia per la patologia lamentata).
Se, al contrario, la quietanza a saldo contiente solo una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto essa è assimilabile ad una clausola di stile e non è sufficiente di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato (cfr. Cass Civ Sez Lav n 11536 del 17 maggio 2006)
Cassazione civile sez. lav. 14 dicembre 2009 n. 26165
In tema di quietanze a saldo o liberatorie sottoscritte dal lavoratore al termine del rapporto, ove la dichiarazione di rinuncia a maggiori somme sia riferita, in termini generici, a titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, essa può assumere valore di rinuncia alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre circostanze desumibili "aliunde", che essa è stata rilasciata con la consapevolezza della esistenza di diritti determinati o obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha escluso che la quietanza a saldo sottoscritta a suo tempo dal dipendente, che successivamente aveva lamentato una malattia professionale, fosse idonea di per sé a salvaguardare il datore dal risarcimento del danno biologico, e ciò anche se il lavoratore all'epoca della firma della liberatoria aveva già chiesto all'Inail una rendita vitalizia per la patologia lamentata).