La rendita ai superstiti erogata dall'INAIL ex art. 85 del dpr n 1124/1965: il problema della decorrenza del termine prescrizionale triennale di cui all'art.112 del TU conoscenza o conoscibilità in fatto o in diritto dei presupposti costitutivi del diritto alla rendita
L'art. 85 del D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 prevede e disciplina la rendita ai supersititi dovuta dall'INAIL in conseguenza di un decesso causato da infortunio sul lavoro.
Al riguardo, si è posta la questione se, ai fini dell'azionabilità giudiziale della pretesa alla rendita di cui all'art. 85, sia necessario rispettare il termine triennale di prescrizione stabilito dal successivo art. 112 che dispone: "L'azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale".
La giurisprudenza della Suprema Corte ha, al riguardo, pacificamente ritenuto applicabile il termine triennale di prescrizione anche alla rendita ai superstiti di cui all'art. 85 (in tal senso si veda, ex multis, Cass n. 12734/2009).
I problemi interpretativi più significativi riguardano, però, l'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale di cui all'art. 112 del D.P.R. n. 1124/1965.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, avuto modo di precisare che, nell'ipotesi di rendita ai superstiti ex art. 85 T.U., tale termine decorre dalla conoscenza (o oggettiva conoscibilità) da parte dei superstiti del fatto che la malattia professionale sia stata causa o concausa del decesso dell'assicurato (in tal senso, si veda Cass. n. 4223/2002).
La Suprema Corte ha, altresì, avuto modo di precisare che, in presenza di elementi di "oggettiva conoscibilità", non assume rilevanza il fatto che i superstiti non abbiano avuto certezza del diritto, in quanto, ai fini della decorrenza della prescrizione, non è necessaria "l'acquisita certezza dell'esistenza del diritto anche nei suoi profili tecnico - giuridici", ma è sufficiente la ragionevole conoscibilità dei presupposti di fatto del diritto stesso.
In tale prospettiva, ai fini della decoreenza della prescrizione, assume rilievo la consapevolezza dell'origine professionale della malattia; consapevolezza che, di norma, coincide con l'avvenuta conoscenza della diagnosi medica.
Tale certezza può, inoltre, sicuramente considerarsi integrata con la presentazione dell'istanza in via amministrativa.
Cassazione civile sez. lav. 01 settembre 2003 n. 12734
Motivi della decisione
Con unico motivo di ricorso è denunciata, con riferimento all'art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 112 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, degli art. 2935, 2945, comma 2 e 2943, comma 1 cod. civ., nonché vizio di motivazione.
Si sostiene, in primo luogo, che, poiché l'attribuzione ai superstiti del diritto alla rendita presuppone l'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra la tecnopatia e la morte, la prescrizione non poteva decorrere prima dell'accertamento giudiziale avvenuto con la sentenza del Pretore di Cagliari 24.3.1994, che aveva definito il giudizio proposto dalla madre, e ciò anche per l'assenza di ragioni di celerità dell'accertamento, dovendo allo stesso procedersi su base esclusivamente documentale.
Si assume, inoltre, che la domanda giudiziale proposta dalla madre aveva prodotto l'effetto interruttivo permanente di cui agli art. 2943 e 2945 cod. civ., siccome aveva ad oggetto l'accertamento del nesso di causalità tra tecnopatia e decesso in relazione al diritto alla rendita dei superstiti, compreso il figlio, all'epoca minore, affermandosi esplicitamente nel ricorso introduttivo che la documentazione "era stata già allegata alla domanda presentata dalla Signora Pintus Luigia anche nell'interesse del minore".
Il ricorso è infondato in tutti i profili di censura.
La giurisprudenza della Corte è consolidata nel senso che anche il diritto alla rendita in favore dei superstiti, di cui all'art. 85 d.P.R. 1124-1965, è soggetto alla prescrizione triennale prevista dall'art. 112 dello stesso testo normativo (Cass. 1585-1997; 13145-1999; 4223-2002). Questa norma prevede che l'azione per conseguire la rendita in questione "si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale". Essa va letta unitamente al precedente art. 111, secondo cui il procedimento contenzioso non può essere istituito se non dopo l'esaurimento delle pratiche amministrative, le quali devono peraltro concludersi nel termine di centocinquanta giorni (art. 111, terzo comma), decorsi i quali senza l'espletamento della procedura di liquidazione, l'interessato può adire l'autorità giudiziaria.
L'art. 112, primo comma, è stato più volte e sotto diversi profili scrutinato dalla Corte costituzionale, la quale ha precisato, per quanto interessa la controversia, che l'esistenza di un termine di prescrizione del diritto alla rendita risponde a due innegabili esigenze: l'una, pubblicistica, di pronto accertamento dei fatti (in considerazione anche della necessaria indagine sul nesso eziologico), e l'altra, privatistica, di rapido conseguimento della prestazione da parte dell'avente diritto (sentenza n. 33 del 1974; 297-1999); che il decorso della prescrizione (che la norma impugnata fa partire dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale) deve essere spostato ad un tempo successivo, quando non vi sia coincidenza temporale tra la manifestazione della malattia professionale ed il raggiungimento del grado minimo di indennizzabilità (v. le sentenze n. 116 del 1969, n. 129 del 1986, n. 544 del 1990 e n. 31 del 1991).
La giurisprudenza di questa Corte, d'altra parte, ha stabilito che tale termine cominci a decorrere solo dal momento in cui l'avente titolo alla prestazione abbia la ragionevole certezza, desunta da elementi oggettivi di conoscenza, non solo dell'esistenza dello stato morboso, ma anche della sua eziologia e del raggiungimento della soglia indennizzabile (Cass. 5009-2002; 15343-2002; 4069-2002).
La tesi del ricorrente si pone in evidente contrasto con questi principi laddove afferma che il dies a quo della prescrizione, ai sensi dell'art. 2935 cod. civ., dovrebbe coincidere con il definitivo accertamento del diritto in sede giudiziaria, così vanificando nella sostanza le esigenze di certezza e celerità sottese alla previsione di un termine breve di prescrizione.
Lo stesso ordine di censure, nella parte in cui sembra voler contestare che la conoscenza del diritto, negli elementi minimi richiesti, fosse stata acquisita già al tempo del decesso del de cuius, è palesemente inammissibile perché critica la sentenza per aver omesso un accertamento di fatto che non era stato sollecitato con l'atto di appello, limitato alle ragioni esposte in sede di narrativa dello svolgimento del processo.
Privo di fondamento è anche il secondo ordine di argomentazioni del motivo di ricorso, secondo cui l'azione giudiziaria proposta dalla madre avrebbe prodotto il cd. effetto interruttivo permanente fino al giudicato, sia perché l'accertamento avrebbe avuto effetti anche per il figlio minore, sia perché, l'azione era stata esperita anche nell'interesse di quest'ultimo.
Invero, ai sensi dell'art. 85 d.P.R 1124-1965, ogni superstite è titolare di un diritto autonomo, a ciascuno spettante sulla base di detta norma, sicché, se ad agire in giudizio è uno soltanto di essi, la regola di cui all'art. 2909 cod. civ. impedisce che l'accertamento contenuto nella sentenza possa estendersi al soggetto che non è stato parte del giudizio (cfr. Cass. 16702-2002).
Quanto alla deduzione secondo cui la madre aveva rivendicato in sede giudiziaria il diritto anche nell'interesse del figlio minore, a prescindere da ogni altra considerazione, essa si pone inammissibilmente in contrasto con l'accertamento di fiato contenuto nella sentenza impugnata, secondo la quale Luigia Pintus non aveva dichiarato di "agire oltre che per conto proprio quale rappresentante del figlio minore Orrù Cristian insistendo per riconoscimento anche della correlativa quota. Si tratta di accertamento che non può essere contestato con la deduzione secondo cui alla domanda giudiziale erano allegati gli atti del procedimento amministrativo, promosso anche nell'interesse del figlio minore, trattandosi di circostanza sicuramente irrilevante per identificare l'oggetto della domanda giudiziale medesima.
Nessuna statuizione in ordine alle spese del giudizio di cassazione va emessa, in applicazione del disposto dell'art. 152 disp. att. al cod. proc. civ..
Cassazione civile sez. lav. 26 giugno 2006 n. 14717
Va premesso che, secondo l'insegnamento di questa Corte, riportato nella richiamata pronuncia di annullamento n. 6267/2002, e riprodotto nella impugnata decisione quale vincolante regola di giudizio del caso concreto, al fine di stabilire l'inizio della decorrenza del termine prescrizionale della rendita per malattia professionale, occorre far riferimento alla nozione ontologica di manifestazione della malattia, che deve concorrere, nel lavoratore assicurato, con la sua conoscibilità, la quale, a sua volta, non richiede l'acquisita certezza della sussistenza del diritto anche nei profili tecnico giuridici (che soltanto dall'accertamento giudiziale può risultare), ma implica, comunque, che il lavoratore sia ben consapevole sia dell'esistenza della malattia, come alterazione patologica di entità tale da consentire l'esercizio del diritto alla rendita, sia del suo carattere professionale, sicchè l'inerzia del medesimo possa considerarsi in qualche misura colpevole.
Più precisamente, alla stregua dell'esposto principio, il dies a quo, ai fini della decorrenza del termine triennale di prescrizione dell'azione volta a conseguire la rendita di inabilità permanente, va individuato, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206/1988, in quello della manifestazione della malattia, senza più far capo alla "fictio caducata" della presunzione assoluta di verificazione della patologia nel giorno di presentazione della denuncia con certificato medico da parte dell'interessato, ma collocando tale evento nel momento in cui uno o più fattori concorrenti diano certezza della esistenza dello stato morboso e della normale conoscibilità di esso da parte dell'assicurato; ciò che "generalmente", coincide con l'accertamento medico dei postumi consolidati e definitivi della incapacità lavorativa determinata da tale stato, in riferimento alla sua eziologia professionale.
Siffatto principio, peraltro - come opportunamente rimarcato dalla Corte territoriale sulla base del decisum di questa Corte - non esaurisce del tutto l'ambito di accertamento ai fini dell'esatta individuazione dell'inizio della decorrenza del termine prescrizionale, in quanto lo stesso va armonizzato con il contenuto della sentenza della Consulta n. 116/1969, secondo il quale a riguardo occorre tenere conto anche del raggiungimento della soglia minima per la indennizzabilità della malattia; sicchè a questo va riferito il dies a quo di decorrenza della prescrizione, e non a quello della effettiva manifestazione della patologia, ove i due momenti non coincidano sotto il profilo temporale, ed il primo (soglia di indennizzabilità) si verifichi successivamente al secondo.
Ora, applicando correttamente tali principi alla fattispecie in esame, la Corte di Trento ha osservato che il ricorrente - tra l'altro dipendente della sede I.N.A.I.L. di Bolzano, e, come tale, fornito di specifica competenza in subiecta materia, sin dalla proposizione della domanda amministrativa del 4 giugno 1987 -, era in grado di conoscere, "facendo uso dei normali criteri attentivi", di essere portatore di una malattia professionale (silicosi polmonare) nonchè della sua gravità, essendo la medesima corredata da un certificato medico recante la diagnosi; "silicosi polmonare 1-2 stadio". E a nulla rileva - soggiunge il Giudice d'appello - che tale diagnosi non sia risultata corroborata da esami specifici, eseguiti solo successivamente, considerato che la chiarezza della diagnosi riferita ad una malattia in fase evolutiva, con specificazione del grado relativo "1 - 2 stadio", costituisce ragione idonea a far ritenere che già da quella data, in capo al ricorrente T., vi era consapevolezza della esistenza dello stato morboso di cui era affetto; sicchè, al limite, i successivi esami specialistici avevano "offerto riscontro di un quadro clinico, peraltro già delineato, con sufficiente chiarezza e precisione, nel primo certificato medico".
Cassazione civile sez. lav. 28 giugno 2011 n. 14281
I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati. Il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112 pone un termine di prescrizione triennale per l'azione diretta a conseguire la rendita decorrente dalla manifestazione della malattia professionale. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 1988 (dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 135, comma 2, nella parte in cui poneva una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui veniva presentata all'istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico), nel regime normativo attuale la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale di cui all'art. 112 cit., può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l'esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell'assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., come la domanda amministrativa, nonchè la diagnosi medica, contemporanea, dalla quale la malattia sia riconoscibile per l'assicurato (cfr. ex plurimis, Cass. n. 10441/2007, Cass. n. 27323/2005, Cass. n. 8257/2003, Cass. n. 4181/2003, Cass. n. 15598/2002). Cass. n. 23110/2004 ha altresì precisato che, ai fini della decorrenza della prescrizione triennale prevista in materia di assicurazione contro le malattie professionali dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 la consapevolezza dell'esistenza della malattia e della sua origine professionale si può ragionevolmente presumere sussistente alla data della domanda amministrativa, atteso che, senza di essa, l'istanza sarebbe palesemente infondata e pretestuosa e la successiva domanda, per il riconoscimento giudiziale del beneficio, potrebbe comportare l'insorgenza della responsabilità per le spese, ex art. 152 disp. att. c.p.c., per lite temeraria; per converso, in ordine al requisito del raggiungimento del minimo indennizzabile, l'opinione personale dell'interessato è assolutamente irrilevante, dipendendo da un accertamento tecnico suscettibile di divergenze valutative e di giudizi anche diametralmente opposti da parte di medici esperti della materia.
6.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale, che ha ritenuto di individuare l'evento oggettivo ed esterno dal quale desumere la conoscenza della malattia professionale nel provvedimento, adottato dal datore di lavoro nel dicembre 1987, di esclusione del lavoratore da livelli di esposizione a rumore equivalenti o superiori a 80 dBA, osservando che, come già rilevato dal consulente tecnico d'ufficio, era verosimile ritenere che l'interessato fosse stato reso edotto di tale provvedimento e delle sue motivazioni e che, comunque, il fatto che nel luglio 1990 l'Ufficio Organizzazione delle Ferrovie dello Stato di Bologna non avesse riconosciuto l'origine professionale del danno confermava che tra il 1987 e il 1990 si era posta la questione di una possibile eziologia professionale della ipoacusia, così che, pur non avendo il lavoratore ottenuto alcun riconoscimento formale in ordine alla natura professionale della malattia, era ragionevole ritenere che, nello stesso periodo, egli fosse stato sensibilizzato al problema ed avesse maturato la consapevolezza di una possibile dipendenza da causa lavorativa del deficit uditivo.
DPR 1124/65
Art. 112.
L'azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale (1).
L'azione per riscuotere i premi di assicurazione ed in genere le somme dovute dai datori di lavoro all'Istituto assicuratore si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui se ne doveva eseguire il pagamento (2).
Le azioni spettanti all'Istituto assicuratore, in forza del presente titolo, verso i datori di lavoro e verso le persone assicurate possono essere esercitate indipendentemente dall'azione penale, salvo nei casi previsti negli artt. 10 e 11.
La prescrizione dell'azione di cui al primo comma è interrotta quando gli aventi diritto all'indennità, ritenendo trattarsi di infortunio disciplinato dal titolo secondo del presente decreto, abbiano iniziato o proseguito le pratiche amministrative o l'azione giudiziaria in conformità delle relative norme.
Il giudizio civile di cui all'art. 11 non può istituirsi dopo trascorso tre anni dalla sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per le cause indicate nello stesso articolo. L'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile (3) .
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 8 luglio 1969, n. 116, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma. Con sentenza 21 maggio 1986, n. 129, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede che il termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire le prestazioni assicurative sia interrotto a far tempo dalla data del deposito del ricorso introduttivo della controversia, effettuato nella cancelleria dell'adito pretore, e seguito dalla notificazione del ricorso e del decreto pretorile di fissazione dell'udienza in discussione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 19 dicembre 1990, n. 544, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui prevede che la prescrizione dell'azione giudiziaria decorra da un momento anteriore alla morte dell'assicurato anche quando la malattia professionale non sia accertabile se non mediante, o previo, esame autoptico.
(2) Termine elevato a tre anni dall'art. 4, d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, conv. in l. 29 febbraio 1980, n. 33, e poi a dieci anni dall'art. 12, d.l. 30 dicembre 1987, n. 536, conv. in l. 29 febbraio 1988, n. 48.
(3) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare dell'INAIL 19 settembre 2013, n. 42.
DPR 1124/65
Art. 85.
Se l'infortunio ha per conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti sottoindicati una rendita nella misura di cui ai numeri seguenti, ragguagliata al cento per cento della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120:
1) il cinquanta per cento al coniuge superstite fino alla morte o a nuovo matrimonio; in questo secondo caso è corrisposta la somma pari a tre annualità di rendita;
2) il venti per cento a ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età, e il quaranta per cento se si tratti di orfani di entrambi i genitori, e, nel caso di figli adottivi, siano deceduti anche entrambi gli adottanti. Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari. Se siano superstiti figli inabili al lavoro la rendita è loro corrisposta finché dura l'inabilità. Sono compresi tra i superstiti di cui al presente numero, dal giorno della nascita, i figli concepiti alla data dell'infortunio. Salvo prova contraria, si presumono concepiti alla data dell'infortunio i nati entro trecento giorni da tale data (1);
3) in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti se viventi a carico del defunto e fino alla loro morte;
4) in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno dei fratelli o sorelle se conviventi con l'infortunato e a suo carico nei limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli.
La somma delle rendite spettanti ai suddetti superstiti nelle misure a ciascuno come sopra assegnate non può superare l'importo dell'intera retribuzione calcolata come sopra. Nel caso in cui la somma predetta superi la retribuzione, le singole rendite sono proporzionalmente ridotte entro tale limite. Qualora una o più rendite abbiano in seguito a cessare, le rimanenti sono proporzionalmente reintegrate sino alla concorrenza di detto limite. Nella reintegrazione delle singole rendite non può peraltro superarsi la quota spettante a ciascuno degli aventi diritto ai sensi del comma precedente.
Oltre alle rendite di cui sopra è corrisposto una volta tanto un assegno di lire un milione al coniuge superstite, o, in mancanza, ai figli, o, in mancanza di questi, agli ascendenti, o, in mancanza di questi, ultimi, ai fratelli e sorelle, aventi rispettivamente i requisiti di cui ai precedenti numeri 2), 3) e 4). Qualora non esistano i superstiti predetti, l'assegno è corrisposto a chiunque dimostri di aver sostenuto spese in occasione della morte del lavoratore nella misura corrispondente alla spesa sostenuta, entro il limite massimo dell'importo previsto per i superstiti aventi diritto a rendita.
Per gli addetti alla navigazione marittima ed alla pesca marittima l'assegno di cui al precedente comma non può essere comunque inferiore ad una mensilità di retribuzione.
Agli effetti del presente articolo sono equiparati ai figli gli altri discendenti viventi a carico del defunto che siano orfani di ambedue i genitori o figli di genitori inabili al lavoro, gli affiliati e gli esposti regolarmente affidati, e sono equiparati agli ascendenti gli affilianti e le persone a cui gli esposti sono regolarmente affidati (2) (3) (4) .
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