Abuso d'ufficio

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Delitti contro la Pubblica Amministrazione (artt. 314-360 c.p.)

Peculato

Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

Malversazione a danno dello Stato

Concussione

Corruzione atti ufficio


Corruzione in atti giudiziari


Istigazione alla corruzione

Rifiuto di atti di ufficio. Omissione

Violazione o minaccia a un pubblico ufficiale

Resistenza a un pubblico ufficiale

Delitti d'oltraggio

Millantato credito

Usurpazione di funzioni pubbliche

Abusivo esercizio di una professione

Violazione di sigilli

Turbata liberta' degli incanti

Inadempimenti di contratti di pubbliche forniture

Frode nelle pubbliche forniture

Pubblico ufficiale

Incaricato pubblico servizio

Esercente servizio pubblica necessita'

Art. 323 Abuso d'ufficio

Salvo che il fatto non costituisca un piu' grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena e' aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravita'. Articolo sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 e successivamente cosi' sostituito dall'art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234.

 

Cassazione penale  sez. V  del 02 dicembre 2008 n. 16895
In tema di falso documentale, costituiscono atti pubblici i verbali di conferimento di incarico ai consulenti del pubblico ministero; ne deriva che integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico il magistrato del P.M. che sottoscriva gli incarichi di consulenza aventi ad oggetto, nella specie, la trascrizione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, affidandoli 'in biancò all'ufficiale di polizia giudiziaria per il successivo completamento e, quindi, attestando falsamente di avere provveduto personalmente a detta doverosa attività svolgendo i necessari controlli, ivi compresi quelli relativi alla sussistenza dei requisiti tecnici di capacità e preparazione del consulente.

Ai fini dell'integrazione dell'abuso d'ufficio (art. 323 cod. pen.) è necessario che sussista la c.d. "doppia ingiustizia", nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia; conseguentemente, occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del detto vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall'accertata esistenza dell'illegittimità della condotta. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità, a titolo del reato di cui all'art. 323 cod. pen., del magistrato del P.M. il quale, aggirando il precetto della legge, concentrato gli incarichi di consulenza nelle mani di un ristretto gruppo di soggetti i quali avevano, d'altro canto, percepito onorari illegittimi, in violazione del limite normativamente stabilito delle 8 vacazioni giornaliere).


Cassazione penale  sez. VI del 28 novembre 2007 n. 329
Il reato di abuso d'ufficio ha natura plurioffensiva, considerato che è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione, anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale. Ne consegue che, in tal caso, il privato danneggiato riveste la qualità di persona offesa e che l'omesso avviso al medesimo della richiesta di archiviazione, qualora questi abbia chiesto di esserne informato, viola il diritto al contraddittorio.


Cassazione penale  sez. VI del 28 gennaio 2008 n. 7973
Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo nel delitto di abuso di ufficio ex art. 323 c.p., non è sufficiente né il dolo eventuale né quello diretto, ma occorre il dolo intenzionale, vale a dire la precisa rappresentazione e la contestuale volizione dell’evento di danno “ingiusto”, conseguenza diretta ed immediata della condotta dell’agente e quindi obbiettivo primario da costui perseguito.


Cassazione penale  sez. VI del 29 aprile 2009 n. 21165
L'uso privato dell'apparecchio telefonico, di cui l'impiegato ha disponibilità per ragioni d'ufficio, comporta l'appropriazione (non restituibile) delle energie necessarie alla comunicazione e per questo l'uso smodato e non episodico del telefono aziendale per fini privati rientra nella fattispecie punita dall'art. 314 c.p. (nella specie, la Corte ha confermato la condanna per peculato nei confronti di un impiegato amministrativo di un'azienda ospedaliera che aveva fatto numerose telefonate private, anche in paesi esteri. Per la Suprema corte, infatti, nel caso in esame non si verteva in quella utilizzazione episodica ed economica del telefono fatta per contingenti e rilevanti esigenze personali, che rende la condotta inoffensiva, ma si trattata piuttosto di impiego privato del telefono d'ufficio che comportava, uscendo dalla sporadicità per un utilizzo personale, una responsabilità per peculato).

Il reato di abuso d'ufficio va escluso, per difetto dell'elemento soggettivo, quando l'intento principale perseguito dall'agente sia stato quello di soddisfare un fine pubblico, pur nella consapevolezza di recare in tal modo anche un ingiusto favore a un singolo soggetto privato. Ciò comunque può valere solo se il fatto è commesso da colui cui era rimessa la cura dell'interesse pubblico e se il mezzo prescelto in concreto risulti essere stato l'unico in grado di realizzare tale interesse.


Cassazione penale  sez. VI del 14 giugno 2007 n. 37531
In tema di abuso d'ufficio, deve escludersi il concorso nel caso in cui il privato si limiti alla mera presentazione di un'istanza relativa ad un atto che, in concreto, risulti illegittimo, essendo invece necessaria la prova che la presentazione della domanda sia stata preceduta, accompagnata o seguita da un'intesa o da pressioni dirette a sollecitare o persuadere il pubblico funzionario. (Fattispecie in cui è stata ritenuta l'esistenza di un accordo collusivo tra il responsabile di un ufficio tecnico comunale ed il beneficiario di un'autorizzazione edilizia, desunto dall'esistenza di rapporti di natura politica e dall'omissione di qualsiasi attività istruttoria in ordine alla richiesta del privato, basata su una falsa rappresentazione della situazione dei luoghi).

In tema di abuso d'ufficio, il requisito del vantaggio patrimoniale va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e sussiste, pertanto, non solo quando l'abuso sia volto a procurare beni materiali o altro, ma anche quando sia volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva a favore di colui nel cui interesse l'atto è stato posto in essere. (Fattispecie relativa al rilascio di un'autorizzazione edilizia che ha consentito al beneficiario di costruire "ex novo" alcuni manufatti, sulla base di una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi).

In tema di abuso d'ufficio, è idonea ad integrare la violazione di legge, rilevante ai fini della sussistenza del reato, l'inosservanza da parte dell'amministratore pubblico del dovere di compiere una adeguata istruttoria diretta ad accertare la ricorrenza delle condizioni richieste per il rilascio di un'autorizzazione, incidendo la stessa direttamente sulla fase decisoria in cui i diversi interessi, pubblici e privati, devono essere ponderati. (Fattispecie relativa al rilascio di un'autorizzazione edilizia per la realizzazione di lavori di manutenzione, in assenza dell'attività istruttoria prevista dall'art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241, e sulla base di una documentazione insufficiente, attestante l'esistenza di immobili in realtà inesistenti).


Cassazione penale  sez. VI del 25 settembre 2008 n. 5026
L’inosservanza o la mancata o l’erronea applicazione di una norma collettiva contrattuale, relativa alla disciplina applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non implica una violazione di legge o di regolamento idonea ad integrare la fattispecie di reato di abuso d’ufficio. Tale principio è la conseguenza della privatizzazione del pubblico impiego; l’art. 2 d.lg. n.29/93, poi trasfuso nel d.lg. n. 165/01, infatti, ha privatizzato tale rapporto sottoponendolo pertanto alla disciplina privatistica del lavoro subordinato.

In tema di abuso d'ufficio, deve escludersi che possano costituire violazione di legge o di regolamento e possano quindi dar luogo alla configurabilità del suddetto reato, l'inosservanza o la mancata o erronea applicazione di norme contenute in contratti collettivi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte, rilevato che tra le norme anzidette rientra anche quella di cui all'art. 28 c.c.n.l. 14 settembre 2000, relativa al patrocinio legale dei dipendenti pubblici per fatti connessi all'espletamento dei compiti d'ufficio, ha annullato senza rinvio, con la formula il fatto non sussiste", la sentenza della corte d'appello che aveva invece affermato la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato "de quo" relativamente ad una delibera con la quale era stato deciso il rimborso delle spese legali in favore di un ex sindaco, un ex assessore ed un funzionario comunale anche con riguardo ad un addebito dal quale costoro erano stati prosciolti non con formula liberatoria nel merito ma per intervenuta prescrizione).


Cassazione penale  sez. VI del 02 aprile 2009  n. 19135
Le modifiche apportate alla disciplina del pubblico impiego sono ininfluenti non solo sull'attività in materia di organizzazione dei pubblici uffici, ma anche sulla natura dell'azione nella doverosa e sola prospettiva del perseguimento degli interessi pubblici per la cui cura e tutela gli enti sono costituti e le funzioni istituzionali sono attribuite.In particolare, la natura pubblicistica dell'incarico dirigenziale va individuata nel combinato disposto di una serie di norme (art. 107, 109 d.lg. n. 267/00 ed art. 5 e 19 d.lg. n. 165/01) essendo la stessa volta a migliorare, nel perseguimento dell'efficienza, il conseguimento delle più ampie finalità istituzionali.Quindi, il sindaco non può quindi qualificarsi come un datore di lavoro privato (essendo tutta la sua attività volta a perseguire il pubblico interesse) a maggior ragione nel momento d'attribuzione e revoca di incarichi volti a migliorare l'attività stessa della p.a. (nella specie, la Corte ha confermando il giudizio di primo grado che aveva ritenuto responsabile di abuso d'ufficio, ai sensi dell'art. 323 c.p., il sindaco nell'esercizio delle sue funzioni aveva revocato al comandante della polizia municipale l'incarico di dirigente del settore Commercio, Annona e Polizia locale).

Il ruolo del dirigente negli enti locali, quale si desume dalla normativa di settore in tema di nomina e di funzioni (cfr., in particolare, gli art. 50, 107, 109 e 110 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267), tale da implicare l'esercizio di potestà pubblicistiche e il potere di impegnare l'amministrazióne con i soggetti a essa esterni, con conseguente attribuzione della qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai sensi dell'art. 357 c.p., determina che il conferimento e la revoca del relativo incarico da parte del sindaco costituiscono atti direttamente riferibili alle esigenze organizzative dell'ente pubblico (per l'effetto finalizzati al perseguimento degli obiettivi essenziali dell'azione dell'amministrazione secondo le regole dell'imparzialità e della buona amministrazione espresse dall'art. 97 cost.), non potendo ridursi ad atti privati discrezionali del sindaco-datore di lavoro. Da ciò conseguendo che la revoca illegittima del dirigente da parte del sindaco può integrare il reato di abuso d'ufficio, laddove ne ricorrano gli altri presupposti oggettivi e soggettivi. (Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato di abuso di ufficio a carico del sindaco che aveva proceduto a revocare il comandante della polizia municipale dall'incarico di dirigente del settore commercio, annona e polizia locale, al di fuori dei casi consentiti dalla legge e senza le formalità ivi previste, in un contesto che aveva portato a ritenere la finalità "ritorsiva" dell'atto di revoca e, quindi, a ritenere dimostrati il dolo intenzionale e l'evento di danno richiesti per la configurabilità dell'abuso).

Integra il delitto di abuso d'ufficio la condotta del Sindaco che, mero spirito di ritorsione, revochi l'incarico di un dirigente di un settore comunale. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha chiarito che, anche dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non è mutata la natura pubblicistica della funzione svolta e dei poteri esercitati dai dirigenti amministrativi e, con essa, la qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai fini dell'art. 357 cod. pen.).

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