la successione delle leggi penali nel tempo, i criteri valutativo e
strutturale elaborati dalla giurisprudenza per stabilire quando si sia
in presenza di abolitio criminis e quando si sia di fronte ad una
modificazione del trattamento penale – articolo di Stefano Pugno
sulle distinzioni tra
successioni di leggi penali ed abolitio criminis, i criteri per individuare
l’una o l’altra fattispecie nei casi dubbi
L'art. 2 del codice penale prevede l'irretroattività della legge penale, stabilendo che nessuno possa essere condannato per un fatto che non costituiva reato nel momento in cui fu commesso, si tratta, in sostanza, del medesimo principio espresso dall'art. 25 Cost.
L'art. 2 del codice penale, secondo comma contempla, invece, il fenomeno dell'abolizione del reato, che va tenuta distinta dall'abrogazione che afferisce al fenomeno formale.
A mente dell'art. 2, nessuno può essere punito per un fatto che non costituisce reato secondo la legge esistente al momento della sua applicazione e, se vi è stata già condanna definitiva, ne cessa l'esecuzione così come tutti gli effetti penali. L'art. 673 cpp disciplina processualmente la revoca della condanna su richiesta del condannato in caso di abolitio criminis.
Il comma 3° dell'art. 2 è stato introdotto dalla legge n. 85 del 2006 avente, ad oggetto, i reati d'opinione. In sede di attenuazione delle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla commissione di reati d'opinione, nel caso in cui alla pena detentiva, per effetto della nuova legge, succedesse una pena pecuniaria, il Legislatore prevedeva l'automatica conversione della pena detentiva inflitta in pena pecuniaria. Tale principio, pur sollecitato dalla riforma dei reati d'opinione, è diventato, poi, un principio generale ed inserito nel contsto dell'art. 2 cp, posta l'irragionevolezza della sua applicazione esclusivamente nel campo dei reati d'opinione.
L'art. 2, 3° comma, prevede, dunque, che ove, per effetto di una successione di norme penali, per un medesimo fatto si passi dalla sanzione detentiva ad una pecunicaria: "la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'art. 135 del codice penale" e non si applica il comma 4°.
Più complessa è l'applicazione del 4° comma dell'art. 2 cp che prevede l'applicazione della norma penale più favorevole all'imputato; tale norma riguarda, tuttavia, solo i processi pendenti e non quelli che siano già esauriti. Il punto più delicato è quello di accertare quale sia la norma più favorevole. I principi che si seguono sono quelli per i quali si applica la norma di maggior favore nel caso concreto salva l'esclusione della possibilità di applicare parte di una disciplina penale e parte dell'altra.
Ulteriore problema è quello di distinguere il fenomeno abolitivo, che segna una discontinuità tra l'area del penalmente rilevante tracciata dalla norma precedente e quella conseguente alla norma successiva, da quello della successione delle norme penali.
Il problema si pone, in particolar modo, con riferimento ai casi in cui il Legislatore proceda alla riscrittura integrale delle fattispecie penali, abrogando formalmente le preesistenti fattispecie incriminatrici.
Per distinguere la mutatio criminis dall'abolitio criminis è fondamentale il diritto vivente; di particolare rilievo, al riguardo, è la sentenza delle SS.UU. del 16 giugno 2003 sentenza Giordano. Il criterio utilizzato dalla sentenza Giordano è il criterio strutturale o del raffronto condotto con il principio della specialità, pur dando atto della sussistenza di ulteriori criteri come la continuità dell'illecito. La Suprema Corte, nell'occasione, ha abbracciato il criterio di specialità che, essendo di carattere logico formale, vincola maggiormente il giudice di merito.
Ogni qual volta sussista un rapporto di specialità tra la vecchia e la nuova norma penale, secondo la Suprema Corte c'è sempre successione, sia laddove sia speciale la vecchia norma, sia qualora sia speciale la nuova. Se è speciale la nuova norma, il fenomeno della mutatio coesiste con una parziale abolitio, se è, invece, speciale la vecchia, la muatio coesiste con nuove incriminazioni.
Ulteriore problema è quello delle modifiche mediate della norma penale e, cioè, gli effetti della modificazione della norma integrativa della norma penale (può, ad esempio, con riferimento ai reati tributari, cambiare la norma extrapenale che fissa il termine di presentazione delle dichiarazioni fiscali, ovvero la norma sociale che determina i fatti contrari al buon costume o, ancora, può essere abolito il diverso fatto di reato costituente l'oggetto del delitto di calunnia).
Qui il problema è quello di stabilire se la modificazione della norma integrativa cada sotto la disciplina dell'art 2 cp o ne fuoriesca. La sentenza delle SS.UU. del 27 settembre 2007 (sentenza Magera), ha tentato di individuare i presupposti per l'applicazione dell'art. 2 cp anche a tali fenomeni successori di norme o, al contrario, per l'esclusione di detta applicazione. In linea di principio, il criterio discretivo è quello della permanenza del disvalore penale del fatto commesso. (si veda al riguardo Cass Penale 2008 Gambardella pagg. 409 e ss.)