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l'ignorantia legis e la colpevolezza
Le forme di manifestazione del dolo
la sentenza n. 364 del 1998 della Corte Costituzionale
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Il dolo
costituisce il titolo di responsabilità penale più grave
e, nel contempo, la forma della colpevolezza richiesta ai fini della
punibilità del fatto preveduto dalla norma penale in difetto di
espressa diversa previsione che estenda la punibilità del fatto a
titolo di colpa o di preterintenzione.
Il dolo costituisce, dunque, il titolo "normale" della responsabilità penale.
L'art. 43 cp fornisce, del dolo, una definizione parziale
che ha suscitato notevoli dibattiti in dottrina; in realtà, ai fini
dell'individuazione dell'oggetto del dolo, non si può prescindere dal
contestuale esame di ulteriori disposizioni (come l'art. 47 cp in tema di errore sul fatto, l'art. 59 cp in tema di
errore sulle scriminanti, l'art. 5cp in tema di conoscenza della legge
penale) dalle quali si desume come il momento rappresentativo e/o volitivo debba abbracciare tutti gli elementi del fatto tipico e non soltanto, come parrebbe doversi desumere dall'art. 43 cp, l'evento offensivo,
ciò che condurrebbe alla conclusione di dover escludere dall'ambito del
dolo tutti i reati di condotta privi di un evento in senso
naturalistico (invero, dall'art. 43 cp, parte della dottrina ha tratto
argomento per sostenere che oggetto della volizione e rappresentazione
debba essere l'evento giuridico del reato, evento che sussiste sia per
i reati ad evento naturalistico sia per i reati di pura condotta).
L'art. 43 cp, infatti, testualmente recita: "il
delitto è doloso o secondo l'intenzione quando l'evento dannoso o
pericoloso, che è il risultato dell'azione o dell'omissione e da cui la
legge fa dipendere l'esistenza del delitto è dall'agente preveduto e
voluto come conseguenza della sua azione od omissione".
La norma pone diversi problemi interpretativi.
Innanzitutto, come detto, il riferimento all'evento,
come oggetto del dolo, pone il problema se il Legislatore abbia inteso
riferirsi all'evento in senso naturalistico, così come nell'art. 40 cp,
ovvero all'evento in senso giuridico, in secondo luogo se il riferimento al solo evento, quale oggetto del dolo, significhi che lo stesso non debba comprendere gli altri elementi del fatto tipico, poi l'endiadi previsione e volontà utilizzata dal legislatore pone il problema se tutti gli oggetti del dolo debbano o possano essere oggetto sia di previsione (o rappresentazione) che di volontà.
Iniziando l'esame dall'ultima delle questioni prospettate, occorre evidenziare come la locuzione utilizzata dal legislatore origini da un compromesso tra la teoria della rappresentazione secondo cui il risultato della condotta poteva essere oggetto solo di rappresentazione in quanto la volontà poteva riguardare solo i movimenti corporei e la teoria della volontà secondo cui anche i risultati della condotta potevano essere oggetto di volontà.
In ogni caso, deve sottolinearsi che sussistono elementi della fattispecie che possono essere oggetto solo di rappresentazione. Si tratta delle circostanze antecedenti o concomitanti che concorrono a determinare il fatto tipico, delle qualifiche soggettive dei soggetti coinvolti dalla fattispecie penale, nonchè degli elementi normativi del fatto tipico.
Con riferimento all'intensità della rappresentazione, va sottolineato come lo stato di dubbio non sia idoneo ad escludere il dolo che, infatti, può presentarsi anche nella forma del dolo eventuale (lo stato di dubbio esclude il dolo, però, con riferimento a quelle peculiari fattispecie penali che impongono, per la particolare tecnica di redazione, una rappresentazione certa dei singoli elementi costitutivi della fattispecie penale - si pensi, ad esempio, alla calunnia o ai fatti integranti il dolo specifico).
Il dolo si manifesta in guisa differente a seconda della diversa struttura e tipologia dei reati.
In particolare, con riferimento ai reati a forma vincolata, esso deve abbracciare tutti gli elementi del fatto tipico mentre, con riferimento ai reati a forma libera o causalmente orientati il dolo deve riguardare l'ultimo degli atti che abbia innescato il processo causale determinante l'evento lesivo.
Con riferimento al processo causale, il dolo deve consistere nella rappresentazione e volizione delle sue linee essenziali non rilevando l'eventuale parziale scostamento del processo causale effettivo rispetto al processo causale voluto e rappresentato.
Il dolo deve, altresì, riguardare gli elementi normativi della fattispecie e le qualifiche personali dei
soggetti coinvolti qualora esse incidano sul disvalore penale del
fatto. In ogni caso, la rappresentazione delle qualifiche personali nel
caso dei reati propri non implica l'esatta conoscenza della giuridica
consistenza della qualifica rivestita ma la rappresentazione e
conoscenza del suo sostrato di fatto (si noti, tuttavia, che,
nell'ambito del concorso di persone nel reato proprio, ai sensi
dell'art. 117 cp, se, per la qualifica rivestita da taluno dei
concorrenti muta il titolo del reato, anche gli altri risponderanno del
reato proprio a prescindere dalla conoscenza della qualifica del
concorrente determinante il mutamento del titolo di reato; inoltre, la
giurisprudenza con riferimento all'errore su norma extrapenale - che
può costituire un elemento normativo della fattispecie - esclude che la
stessa possa esimere dalla pena in quanto essa si risolve in un errore
sul precetto).
In relazione ai reati omissivi propri, il dolo deve riguardare l'omissione della condotta doverosa realizzata nel momento della scadenza del termine per la realizzazione dell'azione come indicata dalla fattispecie astratta.
Con riferimento ai reati omissivi impropri, invece, il dolo deve riguardare l'ultima omissione che abbia determinato l'avvio del processo eziologico autonomo determinante l'evento lesivo.
Tra le ulteriori
questioni che hanno occupato la dottrina in materia di dolo, vi è
quella, già accennata, relativa all'interpretazione dell'art. 43 cp
nella parte in cui si riferisce all'evento conseguenza dell'azione e dell'omissione come unico oggetto della previsione e della volizione integrante il dolo.
Si è sostenuto che, stante l'inidoneità della norma ad abbracciare tutte le fattispecie penali ove l'evento sia inteso in senso naturalistico (posta in particolare l'esclusione dei reati di pura condotta), l'art. 43 cp sarebbe da intendersi come riferito all'evento giuridico e, cioè, alla lesione ed alla messa in pericolo dell'interesse protetto dalla norma penale. L'art. 43 cp, in tale prospettiva, sarebbe il corollario, sotto il profilo psicologico, di quanto l'art. 49 cp, in materia di reato impossibile, stabilisce, sotto il profilo materiale, a proposito dell'inidoneità dell'azione o dell'inesistenza dell'oggetto come cause di esclusione della punibilità per l'inesistenza dell'evento lesivo, di un evento, cioè, integrante, in tale prospettiva, la setssa tipicità del fatto.
La tesi è stata criticata sotto vari profili e, in particolare, per la difficoltà di individuare con certezza l'interesse protetto dalle varie norme penali, per la difficoltà di prova
in ordine alla rappresentazione di tale interesse da parte dell'autore
del fatto tipico e, in ogni caso, per il rilievo della sussistenza di
fattispecie, di pura creazione legislativa, nelle quali non è
neppure configurabile un interesse protetto dalla norma penale
percepibile dalla coscienza sociale, sicchè, da una parte, per la
percezione di tale interesse, è necessaria la specifica conoscenza
della norma penale e, dall'altra, la sua mancata conoscenza non
potrebbe escludere la responsabilità penale posto il divieto di cui
all'art. 5 cp.
Tale ultimo profilo conduce all'esame di un'ulteriore questione e, cioè, se il dolo debba comprendere la coscienza del disvalore penale della condotta posta in essere o se tale conoscenza non sia necessaria.
La necessità
della coscienza del disvalore penale del fatto è da escludersi sulla
base del chiaro disposto di cui all'art. 5 cp. Si è, dunque,
argomentato che, invece della coscienza del disvalore penale, il dolo
debba avere riguardo al disvalore sociale del fatto penalmente
rilevante e, al rigurado, si è precisato che l'autore del fatto non
debba riferirsi ai propri criteri di valutazione ma a quelli di una determinata comunità sociale in un determinato momento storico.
Il problema si pone, tuttavia, con riferimento alle fattispecie di pura creazione legislativa laddove non sussiste un disvalore sociale comunemente percepibile
correlato al fatto penalmente rilevante. Tale coscienza sussisterebbe
nell'agente soltanto laddove conoscesse la norma penale e, tuttavia, la
mancata conoscenza della stessa non potrebbe, di per sè, scriminare per
il chiaro disposto del già richiamato art. 5 cp.
A seguito dei chiarimenti forniti dalla Consulta con la sentenza n. 364 del 1988 in relazione alla questione di costituzionalità dell'art. 5 cp, si è, dunque, precisato che, con riguardo a tali fattispecie di pura creazione legislativa, la coscienza del disvalore sociale della condotta debba essere sostituita con la sua astratta conoscibilità.