La riserva di legge nel diritto penale

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Dott. Alessandro Gariglio

Articolo del Dott Alessandro Gariglio su Altalex in materia di rapporti tra l’art. 2 cp e l’art. 25 cost, sul principio di irretroattività della norma incriminatrice sul rapporto tra irretroattività e misure di sicuerezza.
 
Il principio della riserva di legge nel diritto penale
è posto a garanzia delle libertà individuali delle persone e si concretizza nella necessità che il precetto e la sanzione che formano oggetto della fattispecie incriminatrice siano individuati dalla legge.
La riserva di legge non si riferisce solo ai provvedimenti normativi licenziati dal Parlamento ma anche agli atti aventi forza di legge, come i decreti legislativi e i decreti legge anche se, con riferimento a questi ultimi, i presupposti di necessità e di urgenza che ne costituiscono il fondamento, mal s'attagliano con la necessità di ponderazione sottesa alle scelte di criminalizzazione delle condotte umane.
 
La riserva di legge nel diritto penale si riferisce solo alla legge statale con esclusione di quella regionale che può, tuttavia, produrre effetti scriminanti, riconoscendo, nelle sue materie di competenza esclusiva, diritti ai propri cittadini.
 
Si è posta, in dottrina, la questione dei rapporti tra la consuetudine ed il principio della riserva di legge nel diritto penale. Esclusa la possibile operatività della consuetudine incriminatrice ed abrogatrice (desuetudine), parte della dottrina ammette la possibilità che la consuetudine crei nuove esimenti o cause di non punibilità (consuetudine integrativa).
 
Con riferimento al diritto comunitario, deve escludersi che lo stesso possa stabilire nuove fattispecie incriminatrici e ciò, sia alla luce dell'art. 25 della Cost che riserva la materia al Legislatore statale, sia alla luce dell'art. 189 del Trattato di Roma che limita l'intervento normativo comunitario al campo dei rapporti economici e ad alcune libertà fondamentali. Posto, però, il principio generale del primato del diritto comunitario, esso potrà integrare alcuni elementi della fattispecie incriminatrice o determinarne la disapplicazione qualora contrastante con  norme poste da regolamenti comunitari.
 
Oggetto di notevoli contrasti in dottrina e giurisprudenza è, poi, la portata della riserva di legge nel diritto penale se, cioè, essa vada intesa in senso assoluto o relativo.
 
La riserva di legge, ove intesa in modo assoluto, implica che tutti gli elementi della fattispecie penale siano individuati dal legislatore. Ove, invece, la riserva di legge sia intesa in senso relativo, al legislatore spetterà la definizione delle linee fondamentali della fattispecie incriminatrice ed alla normativa secondaria l'individuazione delle specifiche tecniche o, con riferimento alle c.d. norme penali in bianco, anche la concreta individuazione della condotta vietata.
 
L'ammissibilità di un'integrazione del precetto penale sotto il profilo tecnico è comunemente riconosciuta (si pensi al reato di vendita o cessione di stupefacenti, laddove la concreta individuazione delle sostanze da considerare stupefacenti è rimessa ad un decreto del Ministero della Salute che istituisce ed aggiorna la tabella contenente l'indicazione delle sostanze stupefacenti medesime).
 
Con riferimento alle norme penali in bianco, invece, è lo stesso precetto penale che viene ad essere individuato dalla fonte di rango secondario, sicchè il rischio di violazione del principio della riserva di legge si pone in maniera più evidente (si pensi al reato di cui all'art. 650 c.p. che punisce chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragioni di sicurezza pubblica o di giustizia o d'ordine pubblico o d'igene). La Consulta ha, al riguardo, affermato, in via generale, che le norme penali in bianco non violano il principio della riserva di legge ove i provvedimenti che concretizzano il precetto siano adottati sulla base di una legge ordinaria, anche diversa da quella incriminatrice, che ne indichi i presupposti, il contenuto ed i limiti (Corte Cost. sent. n. 168 del 1971). La Suprema Corte afferma, invece, che la norma extrapenale entra a far parte della norma penale essendo da questa incorporata con la conseguenza che lo stesso errore su norma extrapenale, a mente dell'art. 5 cp, non escluderà, se non entro i limiti indicati dalal Consulta con la nota sentenza n 384 del 1988, la colpevolezza e la punibilità dell'agente.
 
Con riferimento alle norme penali integrate da norme poste da fonti di rango secondario, si è posta la questione degli effetti che originano dall'eventuale abrogazione o modificazione della norma secondaria sotto il profilo della successione delle leggi penali nel tempo. Al riguardo, si è osservato come la valutazione debba essere effettuata caso per caso essendo indispensabile verificare se la modificazione o l'aborogazione della norma secondaria abbia fatto venir meno il disvalore del fatto commesso in precedenza.

Analogo discorso, con riferimento alla successione delle leggi penali nel tempo, va fatto in relazione agli elementi normativi della fattispecie penale, a quegli elementi, cioè, che, per la loro portata semantica, si riferiscono a norme desumibili da altri campi del diritto (si pensi al concetto dell'altruità nel delitto del furto) o dal sentimento sociale (si pensi al comune senso del pudore). In caso di abrogazione o modificazione della norma extrapenale o di modificazione della norma extragiuridica, la problematica è quella di stabilire gli effetti sulle condotte poste in essere in precedenza in violazione della norma penale così come integrata dalla norma abrogata o modificata. Secondo la dottrina dominante, anche in questo caso, la valutazione andrà effettuata caso per caso occorrendo verificare se l'abrogazione o la modificazione della norma extrapenale abbia fatto venir meno il disvalore del fatto.
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