La configurabilità del concorso formale tra rapina e resistenza a pubblico ufficiale e la linea di confine tra concorso formale tra resistenza a pubblico ufficiale e rapina impropria e furto aggravato
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Una peculiare questione che si è posta in giurisprudenza con riferimento al delitto di resistenza a pubblico ufficiale in una delle fattispecie maggiormente ricorrenti nella pratica è quella del possibile concorso formale con il delitto di cui all'art. 628 cp (rapina - per lo più nella forma di rapina impropria), laddove la resistenza a pubblico ufficiale si verifichi in situazione di flagranza o quasi flagranza di reato. In tal senso, se l'esercizio della violenza si realizza immediatamente dopo il furto in uno svolgimento temporale di flagranza o di quasi flagranza si realizza il delitto di rapina che impone l'arresto in flagranza; laddove, invece, la resistenza si svolga dopo che si è perso il controllo visivo o laddove vi sia uno iato temporale si tratterà, sulla base delle coordinate offerte dalla Suprema Corte, di un furto con successiva resistenza a pubblico ufficiale (concorso materiale).
Cassazione penale sez. II 09 luglio 2008 n. 34845
Sussiste il reato di tentata rapina impropria, e non quello di tentato furto in concorso con il reato di resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto, sorpreso in flagranza a sottrarre o impossessarsi della cosa altrui da agenti di polizia giudiziaria, li aggredisca e usi violenza per assicurarsi l'impunità.
Cassazione penale sez. II 18 marzo 2010 n. 17768
Sussiste il reato di tentata rapina impropria, e non quello di tentato furto in concorso con il reato di resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto, sorpreso in flagranza a sottrarre o impossessarsi della cosa altrui da agenti di polizia giudiziaria, li aggredisca e usi violenza per assicurarsi l'impunità.
Sussiste il reato di tentata rapina impropria, e non quello di tentato furto in concorso con il reato di resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto, sorpreso in flagranza a sottrarre o impossessarsi della cosa altrui da agenti di polizia giudiziaria, li aggredisca e usi violenza per assicurarsi l'impunità.
CONSIDERATO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 10.11.2008, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal GUP presso Tribunale di Roma, in data 27.01.2006, nei confronti di:
M.F.:
- mandava assolto l'imputato dal reato di ricettazione di un furgone, a lui ascritto al capo C);
- confermava la sentenza impugnata per il reato di rapina impropria presso una stazione di servizio-carburanti (capo A) e per il reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate (capo B);
- rideterminava la pena per i residui reati ascritti ai capi A) e B), confermava nel resto.
Avverso tale decisione l'imputato propone impugnazione per Cassazione, deducendo:
MOTIVO ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e);
Il ricorrente , censura la decisione impugnata:
- per illogicità nella parte in cui aveva ritenuto la penale responsabilità del M. per il delitto di rapina impropria mentre avrebbe dovuto ritenere l'ipotesi minore del delitto di furto;
- a parere del ricorrente la Corte territoriale aveva omesso di considerare che gli elementi probatori raccolti deponevano per la partecipazione dell'imputato esclusivamente al furto dell'incasso della stazione di servizio da operarsi, come in effetti era stato fatto, mediante forzatura dell'apparecchiatura con le chiavi adulterate preparate dallo stesso M.;
- non vi era alcuna prova che potesse far ritenere la partecipazione del predetto alla condotta violenta adottata dagli altri due imputati nei confronti dei carabinieri;
- costoro, subito dopo il furto del denaro presso la stazione di servizio, inseguiti dai carabinieri, avevano diretto il furgone da essi condotto contro la pattuglia dei militi senza che il M., trasportato nella parte posteriore del veicolo, potesse influire in alcun modo su tale condotta;
- il ricorrente censura la decisione impugnata per non avere considerato che da tale contesto probatorio emergeva la mancanza di prova del concorso del M. nella condotta adottata dai complici, diversa da quella preventivata e che, invece, era diretta alla consumazione del solo delitto di furto.
Chiede pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi proposti sono totalmente infondati perchè relativi a censure di mero fatto che risultano inammissibili in questa sede di legittimità.
Invero il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate dai giudici di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle medesime, che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non appare possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.
La Giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata nel ritenere che sussiste il reato di tentata rapina impropria, e non quello di tentato furto in concorso con il reato di resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto, sorpreso in flagranza a sottrarre o impossessarsi della cosa altrui da agenti di polizia giudiziaria, li aggredisca e usi violenza per assicurarsi l'impunità. Cassazione penale, sez. 2, 09 luglio 2008. n. 34845.
La sentenza impugnata, parte da questa premessa per escludere l'ipotesi del furto, come sostenuto dal ricorrente anche in questa sede.
La Corte del merito osserva, in adesione alle prove emerse agli atti che, la condotta adottata dai coimputati - che hanno lanciato il mezzo condotto contro i militari, i quali avevano loro l'intimato l'alt con la paletta in dotazione - integrava gli estremi della violenza, diretta in maniera chiara a procurasi l'impunità, così da configurare appieno l'ipotesi della rapina impropria.
Il ricorrente, invero, non censura tanto questa parte della motivazione quanto quella con cui la Corte ha ritenuto provato il concorso del M. per il delitto di rapina impropria, assumendo che egli si trovava sul retro del furgone e doveva rispondere solo del delitto di furto, originariamente progettato.
In sostanza il ricorrente censura la motivazione per non avere affermato la penale responsabilità per il solo delitto di furto;
si tratta, però, di un motivo infondato perchè non tiene conto della motivazione adottata dalla Corte di merito che ha ravvisato il dolo anche per la rapina impropria ricavandolo dalla circostanza, sottolineata in sentenza, che i complici, durante il furto, si erano avvisti del sopraggiungere dei carabinieri ed avevano messo in movimento il furgone per fuggire; sul punto la Corte di appello sottolinea che il M., lungi dal dissociarsi da tale sviluppo dell'azione: "usciva, correndo, da dietro il fabbricato di pertinenza della stazione di servizio e saliva anche egli sul furgone, che partiva a forte velocità".
La motivazione impugnata argomenta che tale comportamento dell'imputato, compiuto allorchè l'inseguimento dei carabinieri era "sostanzialmente iniziato", dimostra l'esistenza del dolo della rapina impropria anche a carico del M. che, in tal modo, ha dato prova di aderire alla condotta violenta che i suoi complici avevano già avviato; la Corte di appello ha così escluso anche la ricorrenza dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., stante il ruolo "centrale" del M. nella commissione del reato.
Si tratta di una valutazione del fatto che, apparendo immune da evidenti illogicità, non può essere censurato in questa sede di legittimità.
Nel controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune. Sul punto si rileva che: 1) l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze; 2) per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009. n. 24847.
I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell'art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento , nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità- al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Invero il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate dai giudici di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle medesime, che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non appare possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.
La Giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata nel ritenere che sussiste il reato di tentata rapina impropria, e non quello di tentato furto in concorso con il reato di resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto, sorpreso in flagranza a sottrarre o impossessarsi della cosa altrui da agenti di polizia giudiziaria, li aggredisca e usi violenza per assicurarsi l'impunità. Cassazione penale, sez. 2, 09 luglio 2008. n. 34845.
La sentenza impugnata, parte da questa premessa per escludere l'ipotesi del furto, come sostenuto dal ricorrente anche in questa sede.
La Corte del merito osserva, in adesione alle prove emerse agli atti che, la condotta adottata dai coimputati - che hanno lanciato il mezzo condotto contro i militari, i quali avevano loro l'intimato l'alt con la paletta in dotazione - integrava gli estremi della violenza, diretta in maniera chiara a procurasi l'impunità, così da configurare appieno l'ipotesi della rapina impropria.
Il ricorrente, invero, non censura tanto questa parte della motivazione quanto quella con cui la Corte ha ritenuto provato il concorso del M. per il delitto di rapina impropria, assumendo che egli si trovava sul retro del furgone e doveva rispondere solo del delitto di furto, originariamente progettato.
In sostanza il ricorrente censura la motivazione per non avere affermato la penale responsabilità per il solo delitto di furto;
si tratta, però, di un motivo infondato perchè non tiene conto della motivazione adottata dalla Corte di merito che ha ravvisato il dolo anche per la rapina impropria ricavandolo dalla circostanza, sottolineata in sentenza, che i complici, durante il furto, si erano avvisti del sopraggiungere dei carabinieri ed avevano messo in movimento il furgone per fuggire; sul punto la Corte di appello sottolinea che il M., lungi dal dissociarsi da tale sviluppo dell'azione: "usciva, correndo, da dietro il fabbricato di pertinenza della stazione di servizio e saliva anche egli sul furgone, che partiva a forte velocità".
La motivazione impugnata argomenta che tale comportamento dell'imputato, compiuto allorchè l'inseguimento dei carabinieri era "sostanzialmente iniziato", dimostra l'esistenza del dolo della rapina impropria anche a carico del M. che, in tal modo, ha dato prova di aderire alla condotta violenta che i suoi complici avevano già avviato; la Corte di appello ha così escluso anche la ricorrenza dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., stante il ruolo "centrale" del M. nella commissione del reato.
Si tratta di una valutazione del fatto che, apparendo immune da evidenti illogicità, non può essere censurato in questa sede di legittimità.
Nel controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune. Sul punto si rileva che: 1) l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze; 2) per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009. n. 24847.
I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell'art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento , nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità- al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010
...concorso formale di rapina e resistenza a PU
Una questione che si è posta con riferimento alla resistenza a pubblico ufficiale è se tale delitto sia assorbito o possa concorrere formalmente con la rapina. La giurisprudenza ha, al riguardo, chiarito che si realizza il concorso formale trattandosi di violazione di due diverse disposizioni. In tal modo la resistenza a pubblico ufficiale nell'ambito dell'azione d'impossessamento della cosa altrui, non solo trasforma il fruto in rapina ma determina la contestuale violazione dell'art. 337 cp ed il concorso formale tra il più grave delitto di rapina (rispetto al furto) con quello della resistenza a pubblico ufficiale
Cassazione penale sez. IV 22 marzo 2007 n. 18363
L'azione violenta posta in essere subito dopo la sottrazione della cosa nei confronti di agenti delle forze dell'ordine prontamente intervenuti integra gli estremi del reato di rapina impropria, che concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale , trattandosi di violazione di due diverse disposizioni della legge penale con un'unica azione, così realizzandosi una ipotesi di concorso formale eterogeneo di reati.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 28 luglio 2005 il Tribunale di Cagliari, in composizione monocratica, applicava a P.R. ed C.A. pena ritenuta di giustizia per imputazioni di cui all'art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 2 e 7, e artt. 110 e 337 c.p., unificate per continuazione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Cagliari, denunziando vizi di violazione di legge e di motivazione. Deduce che il giudice si era apoditticamente limitato ad affermare la corretta qualificazione del fatto, senza adeguata motivazione al riguardo, tanto più che l'esame del fascicolo del P.M. "rendeva evidente la erroneità della qualificazione giuridica"; nel fatto contestato e rappresentato avrebbe dovuto ravvisarsi il reato di rapina impropria, in concorso con quello di resistenza a pubblico ufficiale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è fondato.
Deve, invero, premettersi che in tema di sentenza di applicazione della pena su richiesta, resa ai sensi degli artt. 444 c.p.p., e segg., può essere denunciata con ricorso per Cassazione la erronea qualificazione giuridica del fatto, la quale è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l'errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b).
E' il giudice, difatti, che, una volta esclusa la sussistenza di ipotesi rilevanti ai sensi dell'art. 129 c.p.p., "controlla la legittimità dell'accordo quanto alla qualificazione giuridica del fatto e alla applicazione e comparazione di circostanze..."; e, "se rileva che la qualificazione giuridica del fatto e la applicazione e comparazione delle circostanze, sulle quali le parti hanno raggiunto l'accordo, non sono corrette, altro non può e non deve fare che respingere la richiesta di applicazione della pena, che ritenere tamquam non esset l'accordo-negozio intervenuto tra le prati".
Invero, "il potere del giudice di controllare la corretta qualificazione diversa è previsto a presidio della obbligatorietà della legge penale..., obbligatorietà che, è superfluo rilevarlo, non può non essere sottratta per definizione alla disponibilità delle parti" (Cass., Sez. Un., 19.1.2000, n. 5, P.G. in proc. Neri;
cfr. da ultimo Cass., Sez. 6^, n. 1282/2002). Ed in caso di erronea qualificazione giuridica del fatto, contenuta e recepita nell'accordo tra le parti, la legittimazione a ricorrere per Cassazione avverso la sentenza che l'abbia recepito spetta sia agli organi del pubblico ministero (Procuratore Generale e Procuratore della Repubblica), sia all'imputato: l'interesse alla impugnazione per il pubblico ministero è istituzionalmente inerente alle sue funzioni, mentre per l'imputato va accertato in concreto, caso per caso (Cass., Sez. Un., n. 5/2000, cit.).
Ciò posto, nella specie si contestava agli imputati di essersi impossessati al fine di trame profitto, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, di alcuni oggetti contenuti nelle autovetture, parcheggiate in una pubblica via, di F.G., C.G. ed P.I., e di aver usato violenza nei confronti dei pubblici ufficiali Carabinieri che, dopo la commissione del fatto, erano intervenuti e stavano procedendo al loro arresto.
Risulta dagli atti del procedimento (che si è abilitati a consultare, vertendosi, come si è detto, in ipotesi di denunciata violazione di legge, ex art. 696 c.p.p., comma 1, lett. b), e segnatamente dal verbale di arresto in flagranza, che i militi intervennero immediatamente dopo la commissione dei fatti ed i due imputati "per sottrarsi all'arresto tentavano di colpire l'app. M. e l'app. A., in particolare il P. tentava di colpire con una spinta l'app. M. ed il C. l'app. A....".
E' pacifica la giurisprudenza di questa Suprema Corte nel ritenere che l'azione violenta posta in essere subito dopo la sottrazione della cosa nei confronti di agenti delle forze dell'ordine prontamente intervenuti integra gli estremi del reato di rapina impropria, che concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale, trattandosi di violazione di due diverse disposizioni della legge penale con un'unica azione, così realizzandosi una ipotesi di concorso formale eterogeneo di reati (ex plurimis, Cass., Sez. 2^, n. 8421/1988 ; id., Sez. 1^, n. 5297/1988; id., Sez. 2^, n. 10579/1985; id., Sez. 1^, n. 11689/1982). In tema di rapina c.d.
impropria, difatti, ai sensi dell'art. 628 c.p.p., comma 2 il "fine di procurarsi l'impunità" comprende non soltanto quello di evitare il riconoscimento, ma anche il fine di sottrarsi a tutte le conseguenze penali e processuali del reato commesso, incluse la denunzia e l'arresto. Ed il requisito della "immediatezza", richiesto dalla norma incriminatrice, non va inteso in senso rigorosamente letterale, ma va posto in relazione alla scopo perseguito di assicurarsi il possesso della cosa sottratta ovvero l'impunità (Cass., Sez. 6^, n. 2410/1999; id., Sez. 6^, n. 12962/1986; id., Sez. 2^, n. 6550/1986; id., Sez. 2^, n. 10381/1983; id., Sez. 2^, n. 5833/1979).
Tali pacifici ermeneutici approdi giurisprudenziali appaiono del tutto pretermessi nella sentenza impugnata, che non ha esplicitato motivazione alcuna che giustificasse la ritenuta corretta qualificazione giuridica dei fatti, laddove la stessa imputazione induceva alla prospettazione del tema sopra indicato.
4. La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio e gli atti vanno trasmessi al Tribunale di Cagliari per l'ulteriore corso.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Cagliari per l'ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2007