stalking sufficienti due sole minacce

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La Suprema Corte con la sentenza n 6417 del 17 febbraio 2010, Sez V ha chiarito che, ai fini dell'integrazione del delitto di stalking di cui all'art. 612 bis del cp è sufficiente la reiterazione anche per due sole volte delle condotte di minaccia o di molestia individuate dalla richiamata norma. La pronuncia, con la sua interpretazione rigorosa, non fa che implementare i rischi connessi nella tecnica di formulazione della norma incriminatrice che, secondo unanime opinione, difetta del necessario requisito della tassatività.

Art. 612 bis. Atti persecutori. Stalking.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5/2/1992 n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia di ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 legge 5/2/1992, n.104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere di ufficio.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il GIP del Tribunale di Ravenna rigettava l'istanza di revoca o di sostituzione della misura della custodia domiciliare, avanzata da O.P., indagato per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p..
Il Tribunale di Bologna ex art. 310 c.p.p. confermava, osservando che O. si era reso autore di minacce, violenza privata e danneggiamento nel periodo dal (OMISSIS) e che ulteriori condotte aveva posto in essere nei giorni (OMISSIS).
Ricorre il difensore, assumendo che gli episodi precedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice in questione non possono essere oggetto di considerazione alcuna; che due sole condotte, quali quelle contestate nella specie, non sono suscettibili di integrare l'illecito gravato, qualificato da condotta plurima.
In punto di adeguatezza si evidenzia che le esigenze cautelari potrebbero essere soddisfatte con la misura cautelare introdotta dall'art. 282 ter c.p.(divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla p.o.).
Le censure sono prive di fondamento.
Le condotte di minaccia o molestia devono essere "reiterate", sì da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone vicine o, infine, costringere la p. l. a modificare le sue abitudini di vita.
Il termine "reiterare" denota la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza.
Se ne deve evincere, dunque che anche due condotte sono sufficienti a concretare quella reiterazione cui la norma subordina la configurazione della materialità del fatto.
Del resto, l'assunto difensivo è smentito dal provvedimento impugnato, atteso che l'indagato, nel corso del 25 e del 26 febbraio '09, "è giunto tre volte dinanzi al bar gestito dal C., senza altro vero scopo, se non quello di indirizzare verso di lui sguardi eloquenti, gesti minacciosi e di tenere atteggiamenti di sfida".
Ineccepibile e diffusa appare la motivazione in punto di adeguatezza della misura cautelare adottata, posto che il Tribunale evidenzia i numerosi e gravi precedenti penali dell'indagato, che ne rivelano la capacità a delinquere e la proclività all'uso della violenza.
Il ricorso va rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese del procedimento.

 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

 
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