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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Ettore MERCURIO Presidente -
Dott. Donato FIGURELLI Consigliere -
Dott. Antonio LAMORGESE Consigliere -
Dott. Alessandro DE RENZIS Consigliere -
Dott. Filippo CURCURUTO Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
xxxxxxxx, elettivamente domiciliato in xxxxx, presso lo studio dell'avvocato xxxxxx, rappresentato e difeso dell'avvocato xxxxxxx, giusta delega in atti;
ricorrente
contro
INARCASSA - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell'avvocato xxxxxx, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
controricorrente –
avverso la sentenza n. 2831/04 del Tribunale di COSENZA, depositata il 28/10/04 R.G.N. 3057/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/09/07 dal Consigliere Dott. Filippo CURCURUTO;
udito l'Avvocato xxxx;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.L'ing. xxxxxxx ha convenuto dinanzi al Tribunale di Cosenza la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti [d'ora innanzi: la Cassa] opponendosi alla sanzione pecuniaria di € 301,35, irrogatagli dalla convenuta, ai sensi dell'art. 36 del proprio Statuto, per irregolarità nella presentazione della dichiarazione annuale del reddito professionale e del volume di affari per gli anni 1999 e 2000 , dati che la Cassa gli aveva precedentemente chiesto di comunicarle, pur essendone già in possesso, come esso xxxxx aveva segnalato rispondendo alla richiesta.
2.A fondamento dell'opposizione il xxxx ha dedotto la violazione del principio di legalità, potendo la Cassa applicare sanzioni solo in caso di evasione contributiva; il mancato rispetto del termine perentorio, di 90 giorni dall'accertamento, per la notifica dell'infrazione; l'inosservanza da parte del responsabile del procedimento dell'obbligo , ex art. 18, comma 2, della legge 214 del 1990, di acquisire d'ufficio gli atti già in possesso della Cassala mancata indicazione, nel provvedimento sanzionatorio, dell'autorità giurisdizionale competente per l'impugnazione.
3. Nella resistenza della Cassa l'opposizione è stata rigettata dal Tribunale, che, qualificando quella impugnata come sanzione civile e patrimoniale, stante la intervenuta privatizzazione della Cassa per effetto del decreto legislativo 509/1994, ha ritenuto irrilevanti le censure formulate dal xxxx sul presupposto della diversa qualificazione come sanzione amministrativa pecuniaria.
4. Il xxxx con ricorso per tre motivi chiede la cassazione della sentenza. La Cassa resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, perché proposto contro una sentenza appellabile.
Motivi della decisione
5. La Corte, anche per la sollecitazione contenuta nel controricorso, deve esaminare preliminarmente l'ammissibilità del ricorso.
6. A tal fine occorre muovere dal consolidato orientamento secondo cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso adottata dal giudice del provvedimento stesso, a prescindere dalla sua esattezza, sulla base del principio dell'apparenza, sicché, in materia di mezzi di impugnazione delle sentenze all'esito del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, ove dinanzi al giudice di merito una controversia che avrebbe dovuto essere trattata con le forme di cui alla legge n. 689 del 1981 venga invece introdotta con il rito ordinario, la norma derogatoria di cui all'art. 23, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981, (oggi abrogata ma ) applicabile "ratione temporis", secondo la quale le predette sentenze sono impugnabili solo a mezzo del ricorso per cassazione, non trova applicazione, ed in questo caso avverso la sentenza che decide su una questione riconducibile all'ambito di applicabilità della legge n. 689 del 1981 definendo un giudizio introdotto e trattato secondo le regole ordinarie, è esperibile l'appello e non anche il ricorso per cassazione (fra le molte, di recente, Cass. 5 aprile 2007, n. 8606; conf. 2 marzo 2007, n. 4963; v. anche Cass. 20 novembre 2006, n. 24581). In altri termini, il mezzo di impugnazione ammissibile contro la sentenza pronunciata in sede di opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione irrogativi di sanzione amministrativa deve essere individuato in base alla procedura in concreto seguita dal giudice. Quindi, in piena simmetria con quanto avviene nel caso di controversie in concreto trattate con il rito ordinario, qualora il giudice abbia applicato il rito previsto dagli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981 n. 689, la sentenza è impugnabile con il ricorso per cassazione, ai sensi del cit. art. 23 ultimo comma e non con l'appello, ancorché, ad es. , si deduca che avrebbe dovuto esser fatta applicazione dell'art. 35 comma quarto della legge cit., che per le violazioni in materia previdenziale e assistenziale di valore superiore a lire 50.000 rinvia alla disciplina del processo del lavoro. ( vedi Cass. 21 maggio 1997, n. 4527). Questo orientamento, del resto , è condiviso anche da Cass. 25 luglio 2000, n. 9752, che ha indagato circa la natura della sanzione, per taluni aspetti simile a quella oggetto del presente ricorso, prevista dall'art. 17, quarto comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, come modificato dall'art. 9 della legge 11 febbraio 1992, n. 141, per la mancata comunicazione da parte del professionista alla Cassa di previdenza forense dell'ammontare del reddito professionale ai fini dell'IRPEF per l'anno precedente nonché del volume complessivo d'affari fini dell'IVA per il medesimo anno. In quella occasione la Corte ha infatti positivamente verificata l'ammissibilità del ricorso osservando che il Pretore aveva esercitato i poteri di cognizione specificamente indicati nella legge 689/81, sì da dichiarare inammissibile una delle domande per superamento del termine di trenta giorni dalla notifica della sanzione, ed aveva considerato la domanda come riconducibile allo schema dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione.
7. Nel caso di specie, l'esame degli atti, necessario per la verifica dell'ammissibilità del ricorso, consente di affermare che la controversia è stata introdotta dal xxxx quale opposizione a sanzione amministrativa e che il giudice la ha trattata conformemente, provvedendo agli adempimenti di cui all'art. 23 della legge 689/91 ed ordinando la notifica del ricorso ed il decreto, a cura dell'ufficio, all'opponente e alla Cassa, quale autorità che aveva irrogato la sanzione. Il ricorso è pertanto ammissibile.
8. Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione o falsa applicazione dell'art. 1 della legge 689/91, dell'art. 16, 5°, 6° e 7° comma della legge 6/81 nonché dell'art. 4 , comma 6 bis, del decreto- legge 79/97 convertito nella legge 140/97.
9. Si sostiene che la legge 3 gennaio 1981, n. 6, nell'articolo e commi sopraindicati, considera l'inosservanza dell'obbligo di comunicazione sotto il profilo disciplinare, prevedendo una sanzione amministrativa solo nel caso di evasione contributiva, mentre il successivo art. 4 comma 6 bis del decreto-legge 79/97 attribuisce agli enti privatizzati il potere di deliberare in materia di sanzioni per inadempienze contributive. Per contro lo Statuto della Cassa- con la insufficiente copertura del decreto ministeriale di approvazione, non avente rango di norma primaria- aveva istituito una sanzione ulteriore, atipica perché priva del presupposto della evasione, e configurante una vera e propria sanzione amministrativa pecuniaria, posto che da un lato, seppur formalmente privatizzata, la Cassa continuava a gestire una funzione pubblicistica, quale quella di un regime previdenziale obbligatorio, dall'altro l'obbligo di comunicazione a carico del professionista era fissato dalla legge.
10. Il motivo è infondato.
11. Il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 ( Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) ha disposto nell'art. 1, al comma 1 che: "Gli enti di cui all'elenco A allegato al presente decreto legislativo"-fra i quali rientra la Cassa- "sono trasformati, a decorrere dal 1° gennaio 1995, in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi di ciascuno di essi, adottata a maggioranza qualificata dei due terzi dei propri componenti, a condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario", al comma 3 che "Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali" e al comma 4 che: "Contestualmente alla deliberazione di cui al comma 1, gli enti adottano lo statuto ed il regolamento, che debbono essere approvati ai sensi dell'art. 3, comma 2", ossia dal Ministero del lavoro e della previdenza modificazione delle norme statutarie e regolamentari, come espressamente disposto dal comma 2, dell'art. 3 del decreto.
12. L'art. 2 del decreto legislativo in esame, la cui rubrica reca il. titolo " Gestione" stabilisce poi che : "l. Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta.
2. La gestione economico-finanziaria deve assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale".
13. Le disposizioni così riprodotte, per quanto ora interessa contengono, quindi la regola secondo cui i nuovi soggetti mantengono le funzioni di gestione previdenziale già assegnate agli enti ma devono garantire da soli il relativo equilibrio finanziario.
14. Il successivo decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 ( Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica) convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 28 maggio 1997, n. 140, nel comma 6-bis, aggiunto dalla legge di conversione, ha disposto che : " Nell'ambito del potere di adozione di provvedimenti, conferito dall'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, possono essere adottate dagli enti privatizzati di cui al medesimo decreto legislativo deliberazione in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive, da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del citato decreto legislativo".
15. Come è pacifico, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti, facendo esplicito richiamo nelle premesse al cit. art. 4, a comma 6 bis, ha approvato il testo dell'art. 36 del proprio Statuto, richiamando nel punto 36.4 la fattispecie di cui all'art. 16 della legge 31 gennaio 1981, n. 6, e determinando le sanzioni relative, stabilendo nel comma successivo il rilievo disciplinare della omissione, del ritardo o della infedeltà nella comunicazione di cui al comma precedente e prevedendo, infine, nel comma 36.6. , per il mero ritardo nella comunicazione una sanzione autonoma, cumulabile con quella del comma 36.4, pari al 15% del contributo soggettivo minimo in vigore nell'anno cui la dichiarazione si riferisce.
16. Per saggiare la fondatezza della tesi sviluppata nel motivo in esame, essendo incontroverso che la Cassa si è attenuta alle prescrizioni statutarie, si deve pertanto stabilire solo se la previsione sanzionatoria ivi contenuta sia stata introdotta nell'esercizio di un potere attribuito alla Cassa dalla legge. 17. Al proposito va considerato che già con il cit. art. 2 , comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 erano stati attribuiti alla Cassa i poteri funzionali ad assicurare l'equilibrio finanziario della gestione, ossia poteri necessariamente incidenti sul versante delle prestazioni come su quello dei contributi. Tali poteri per effetto del cit. comma 6 bis sono stati ulteriormente specificati ed estesi sia al profilo sanzionatorio che a quello del condono per inadempienze contributive. La suddetta estensione assume un particolare significato quando si consideri che la disposizione in commento entra a far corpo con l'art. 4 del decreto legge, contenente, secondo la sua rubrica, " Disposizioni in materia di condono previdenziale". Quindi, nel momento in cui la legge dì conversione con il comma 6 bis ha autorizzato anche gli enti privatízzati a dettare norme che, oltre quella del condono, possono riguardare anche la materia delle sanzioni essa esprime una linea di tendenza nel senso dell'espansione dei poteri di tali enti. Alla luce di tali considerazioni il sintagma "regime sanzionatorio per inadempienze contributive", formulato in termini generali e non limitato alla tipica ipotesi della omissione ben può comprendere anche condotte quale quella della omessa comunicazione del reddito che, per un verso possono essere astrattamente prodromiche rispetto a condotte più gravi e per altro verso determinano la necessità per la Cassa di effettuare i necessari accertamenti, con inevitabili aggravi di attività, idonei a riflettersi sui costi di gestione del servizio e in definitiva sugli equilibri finanziari che, come s'è visto, per gli enti privatizzati. costituiscono il principio fondamentale della gestione. Del resto ritenendo, come mostra di ritenere il ricorrente, che la fattispecie sanzionabile sia solo quella stabilita dall'Art. 16 della legge 3 gennaio 1981, n. 6, a mente del quale l'omessa o infedele comunicazione del reddito comporta l'obbligo di versare alla Cassa, oltre al contributi evasi, una somma pari ai contributi stessi, sicchè essa non copre anche avesse adempiuto all'obbligo di comunicare l'ammontare del reddito percepito ai fini dell'Irpef ed il volume degli affari dichiarato ai fini dell'Iva.
19. Come risulta dalla sentenza cit., in quell'occasione la Corte, sul presupposto che fosse pacifico che la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, fosse rimasta titolare di tutti i rapporti attivi e passivi che facevano capo all'ente prima della sua trasformazione per effetto del cit art. 1 del d.Lgs. 509 del 1994 ed avesse anche mantenuto i poteri in precedenza attribuiti all'ente per riscuotere i contributi e le sanzioni non ha esaminato il problema della legittimità o no della sanzione, nel merito, ma ha indagato sulla legittimità del procedimento diretto alla sua irrogazione, muovendo dalla qualificazione di quella sanzione come sanzione amministrativa pecuniaria. Nel caso di specie invece le questioni sollevate dal motivo di ricorso in esame, attinenti proprio alla legittimità della previsione sanzionatoria contenuta nello Statuto della Cassa, trovano una soluzione che, salvo quanto si dirà a proposito del terzo motivo, rende priva di specifico rilievo la qualificazione adottata nella sentenza 9725/2000.
20. Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione o falsa applicazione dell'art. 18 della legge 241/90; in subordine omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
21. Si addebita alla sentenza impugnata di aver ritenuto legittima la sanzione senza considerare che norma dell'art. 18 della legge 241/90 la Cassa non avrebbe potuto richiedere al professionista la comunicazione dei dati da essa già posseduti.
22. Il motivo è infondato.
23. Poiché, come detto, il provvedimento sanzionatorio è conforme alla previsione dello Statuto, la questione della legittimità della sanzione si risolve accertando se lo Statuto potesse o no contenere previsioni sanzionatoria del genere di quella in esame. La risposta positiva a tale interrogativo, data con riguardo al primo motivo del ricorso, vale ad escludere la fondatezza della censura ora all'esame.
24. Con il terzo motivo di ricorso è denunziata violazione o falsa applicazione degli artt. 14 della legge 689/81 e 3 della legge 241/90; in subordine omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
25. Si addebita alla sentenza di non aver esaminato le censure concernenti la tardività della contestazione, sull'erroneo presupposto che quella irrogata al ricorrente non fosse una sanzione amministrativa, e si sostiene anzitutto che la sanzione sarebbe illegittima per il mancato rispetto del termine per la contestazione dell'illecito, stabilito dall'art. 14 della legge 689/81 in 90 giorni dall'accertamento, e decorrente nel caso di specie dal momento in cui scade il termine per la presentazione delle dichiarazioni, ossia dal 31 agosto dell'anno successivo a quello di riferimento. Si addebita inoltre alla sentenza impugnata di non avere rilevato, sempre per l'erroneo presupposto di cui s'è detto, che nel provvedimento era indicato il solo rimedio amministrativo interno ma non invece i modi e i termini dell'azione giudiziale in violazione di quanto stabilito dall'art. 3 della legge 241/90.
26. Il motivo è infondato.
27. Per quanto concerne la tardività della contestazione relativa al reddito dell'anno 1999, ove pure , adottando anche per il caso in esame la qualificazione utilizzata dalla più volte cit .sentenza 9725/2000, si volesse far riferimento alle previsioni della legge 689/81 sull'argomento, occorre considerare che, come affermato dallo stesso ricorrente, i fatti sono stati contestati dall' Inarcassa il 3 aprile 2001 e la sanzione è stata irrogata con atto (del 29 maggio 2001) notificato al professionista il 5 giugno 2002. Il ricorrente sostiene che il termine decadenziale di 90 giorni dall'accertamento per la mancata decorrerebbe dal 31 agosto dell'anno successivo a quello di riferimento. Ma la coincidenza di tale termine con quello in cui l'amministrazione ha accertato la violazione è solo postulata, essendo di tutta evidenza la necessità di un qualche lasso di tempo per stabilire quali professionisti abbiano omesso l'adempimento prescritto. Al riguardo vale ricordare del resto che, in tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione, l'attività di accertamento dell'illecito non coincide neppure con il momento in cui viene acquisito il "fatto" nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell'infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell'infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione. Compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all'Amministrazione per giungere a una simile, completa conoscenza, individuando il "dies a quo" di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell'assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione. (v. per tutte, Cass. 18 aprile 2007, n. 9311; sulla stessa linea v. anche Cons. Stato, sez. VI 30 gennaio 2007, n. 341, secondo cui "l'arco di tempo entro il quale l'Amministrazione procedente deve provvedere alla notifica della contestazione ai sensi dell'art. 14 L. n. 689/1981 è collegato non alla data di commissione della violazione ma al tempo di accertamento dell'infrazione, dovendosi intendere per data di accertamento, in una prospettiva teleologicamente orientata, non già la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità ma l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita; conoscenza, a sua volta, implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del tempo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell'acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della contestazione").
28. Poiché la censura del ricorrente, pur facendo riferimento anche a vizio di motivazione, contiene in realtà una specifica affermazione riguardante essenzialmente il dies a quo del termine di contestazione e tale affermazione è da considerare erronea in diritto, il profilo in esame non può essere accolto.
29. Per quel che concerne invece la mancata preventiva contestazione circa l'omessa comunicazione dei redditi per l'anno 2000 (violazione evidentemente diversa dalla non tempestività della contestazione per i redditi dell'anno precedente) si tratta di una censura nuova, visto che, stando a quanto emerge dalla sentenza impugnata, non risulta specificamente proposta dinanzi al giudice di merito, il quale nel dare atto dei motivi di impugnazione fa riferimento, per quanto interessa, alla sola violazione dell'art. 14 comma 2 della legge 689/81 v. pag. 2 della sentenza impugnata).
30. Quanto, infine, alla violazione della regola sulla indicazione dei modi e dei termini per promuovere il ricorso in sede giudiziale, sempreché si voglia accedere alla ricostruzione della sanzione in esame come sanzione amministrativa pecuniaria, si tratta di motivo inammissibile per difetto di interesse, dal momento che nel caso di specie non è in discussione la tempestività della iniziativa giudiziaria del ricorrente mentre le omissioni denunziate determinano secondo un indirizzo giurisprudenziale, neppure univoco sebbene prevalente, la conseguenza che la parte non può esser considerata decaduta dal diritto di proporre opposizione ( vedi,in tal senso fra le altre, Cass. 25 luglio 2000, n. 9725, cit; 13 settembre 1997, n. 9080, e più di recente Cass. 19 ottobre 2006, n. 22478; nel senso invece che , in caso di opposizione al provvedimento prefettizio di sospensione della patente di guida, proposta al pretore con atto notificato oltre il termine di trenta giorni, stabilito dal primo comma dell'art. 22 della legge n. 689 del 1981, l'opponente non può far valere, allo scopo di essere rimesso in termini, la circostanza che detto provvedimento fosse privo della indicazione del termine e dell'autorità giudiziaria presso la quale sarebbe stato possibile proporre impugnazione, Cass. 27 agosto 1999, n. 8999).
31. In conclusione il ricorso va rigettato, ancorché sulla base di ragioni che, ex art. 384 c.p.c., in parte divergono da quelle della sentenza di merito in parte le integrano.
32. La Corte stima pertanto opportuno compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio.
Roma 27 settembre 2007
Flippo Curcuruto. Ettore Mercurio Presidente