accertamento negativo del credito contributivo iscritto a ruolo legittimato solo Inps

 

 

Con la recentissima sentenza delle Sezioni Unite n. 7514 del 8 marzo 2022, si è precisato che nelle cause di opposizione che il contribuente proponga per l’accertamento dell’insussistenza del credito contributivo affidato alla riscossione esattoriale, ove si controverta sul merito della pretesa contributiva anche per vicende estintive del credito, quale è la prescrizione, l’unico soggetto legittimato a contraddire è l’ente impositore (Inps, Inail o altro ente previdenziale) e non l’agente della riscossione.

In pratica, dunque, laddove sia stato convenuto in giudizio anche l’ente impositore, lo stesso dovrà essere estromesso; laddove, invece, sia stato chiamato solo l’agente della riscossione la causa dovrà essere dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione passiva non essendovi spazio per l’integrazione del contraddittorio.

Diverso il discorso laddove siano stati eccepiti vizi che attengono alla procedura di riscossione esattoriale ma soltanto, a quanto è dato comprendere, nel caso in cui tali eccezioni involgano la legittimità della procedura di riscossione e siano, dunque, finalizzate anche o esclusivamente a paralizzarla sostanziandosi, dunque, l'azione anche, o soltanto, in un'opposizione agli atti esecutivi.

Qualora, invece, i vizi degli atti dell’esattore, come, ad esempio, quelli relativi alla notifica delle cartelle esattoriali o di atti di intimazione, siano rilevanti esclusivamente al fine di verificare l’attuale esistenza del credito (ad esempio in quanto, in mancanza di essi, il credito risulterebbe prescritto), la legittimazione a resistere spetterà ugualmente solo all’ente impositore.

Si porrà, dunque, verosimilmente, un problema riguardante il limite del legittimo esercizio di poteri officiosi da parte del giudice nei confronti dell’agente della riscossione  per la verifica dell’esistenza di eventuali atti interruttivi della prescrizione in quanto deve considerarsi che l’INPS (o altro ente previdenziale) è il creditore  e l’Agenzia il suo mandatario per la riscossione, con la conseguenza che l’ordine di esibizione di specifici documenti (ex 210), potrebbe essere qualificato ammissibile, a rigore, solo se l’INPS deducesse (e provasse) di aver formalmente e vanamente chiesto all’Agenzia di dare copia di un qualche specifico atto (ad esempio un’intimazione di pagamento), non sembrando esservi spazio per un interpello d’ufficio dell’Agenzia per sapere se, per ipotesi, abbia compiuto una qualche attività di riscossione.

D’altronde, sino ad oggi, risultano frequenti i provvedimenti giurisdizionali con i quali sono state disattese istanze di esibizione genericamente avanzate dall’I.n.p.s. sulla base delle seguenti considerazioni …

  • perché [l’istanza] non si riferisce ad atti specificamente individuati, ma si risolve nell’indistinto richiamo a tutti quelli indicati nella memoria di costituzione di primo grado, comprese le diffide risultanti dagli estratti “Escocar”, senza però considerare che già la memoria costituiva di primo grado conteneva analogo generico riferimento, senza alcuna menzione di specifici atti di messa in mora che negli estratti “Escocar” fossero contraddistinti quantomeno con la data di notifica. L’adesione alla richiesta dell’INPS implicherebbe, pertanto, una preliminare attività esplorativa delle risultanze documentali dei suoi stessi archivi informatici, funzionale alla ricerca di eventuali dati che, inspiegabilmente, l’Istituto rimette all’organo giudicante abdicando a svolgerla autonomamente al fine di fornire quelle specifiche allegazioni che condizionano l’emissione dell’ordine di esibizione[1]; 2) perché l’INPS non allega e quindi non prova di non essere riuscito diversamente ad acquisire, già in primo grado, quegli indistinti documenti in relazione ai quali postula l’adozione dell’ordine di esibizione

 

sentenza delle Sezioni Unite n. 7514 del 8 marzo 2022

SU decidendo sul ricorso, cassano senza rinvio la sentenza impugnata perché la causa non poteva essere proposta. In particolare, la Sezione Lavoro aveva proposto una questione di massima e di particolare importanza in tema di individuazione dei soggetti legittimati a contraddire in caso di impugnazione del ruolo che investa il merito della pretesa contributiva (con particolare riferimento alla verifica dell’eventuale sussistenza di un litisconsorzio necessario tra ente titolare della pretesa ed esattore), alla luce delle diverse soluzioni adottate nella giurisprudenza di legittimità rispettivamente in materia tributaria, in tema di opposizione a sanzioni amministrative e, specificamente, con riguardo al sistema della riscossione dei crediti previdenziali. Le SU hanno risolto tale questione affermando che, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 46 del 1999 − che non è stato neppure implicitamente superato dall’art. 39 d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112 − nell’ipotesi di opposizione tardiva recuperatoria avverso l’iscrizione a ruolo, al fine di far valere l’inesistenza del credito portato dalle cartelle per omessa notificazione, anche per il maturare della prescrizione, la legittimazione a contraddire compete al solo ente impositore, quale unico titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio. Ne consegue che laddove, come nella specie, il ricorso sia stato proposto soltanto nei confronti del concessionario, non trovando applicazione i meccanismi di cui all’art. 107 o 102 cod. proc. civ. il ricorso va respinto per carenza di legittimazione passiva in capo al concessionario medesimo, che ha solo il ruolo di soggetto autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento. La constatata carenza di legittimazione a contraddire dell’agente della riscossione convenuto in giudizio, comporta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata perché la causa non poteva essere proposta.

11. Un panorama piuttosto disomogeneo si registra nella materia previdenziale. In tema di opposizione allo stato passivo fallimentare, secondo l'orientamento maggioritario della sezione lavoro, deve escludersi la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra l'ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione qualora il giudizio sia promosso da o nei confronti di quest'ultimo, poiché non assume rilievo a tal fine che la domanda abbia ad oggetto non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi ma l'esistenza stessa del credito, posto che l'eventuale difetto del potere di agire o resistere in giudizio comporta solo una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell'ente impositore, talché la chiamata in causa di quest'ultimo ai sensi del citato art. 39, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, deve essere ricondotta all'art. 106 c.p.c. (Cass. 5 maggio 2016 n. 9016 e, più di recente, Cass. 22 maggio 2019 n. 13929, Cass. 2 ottobre 2019 n. 2458, Cass. 12 agosto 2020 n. 17100). Altro orientamento (Cass. 16 giugno 2016 n. 12450, citata nella sentenza impugnata, Cass. 12 dicembre 2017 n. 29806) ritiene, invece, la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l'ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione qualora il debitore deduca circostanze che incidono sul merito della pretesa creditoria o eccepisca in compensazione un proprio controcredito, e ciò ancorché l'ente impositore sia l'unico legittimato a stare in giudizio, atteggiandosi quella del concessionario come legittimazione meramente processuale. Le decisioni richiamate rinviano alla D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 norma interpretata nel senso di imporre al concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o validità degli atti esecutivi, di chiamare in causa l'ente impositore, rispondendo diversamente in proprio delle conseguenze della lite.

 

11.1. In controversie assimilabili a quella oggetto del presente giudizio, specificamente in tema di opposizione a cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c., si evidenzia un primo orientamento secondo il quale sussiste la legittimazione passiva del concessionario allorché si deduca un vizio di notifica degli atti, quale l'omessa tempestiva notifica della cartella determinante la prescrizione del credito (Cass. 15 gennaio 2016 n. 594), con la precisazione che in tal caso lo stesso concessionario è litisconsorte necessario, anche per gli innegabili riflessi che un eventuale accoglimento dell'opposizione potrebbe comportare nei rapporti con l'ente. In linea con l'orientamento richiamato anche Cass. 21 maggio 2013 n. 12385, che ha ribadito la qualità di litisconsorte necessario del riscossore nel giudizio di opposizione all'esecuzione con il quale sia stata fatta valere la prescrizione del credito contributivo per l'omessa effettuazione da parte dello stesso di atti propri della sequenza procedimentale, fra cui la tempestiva notifica della cartella.

 

11.2. Alcuni più recenti sviluppi della giurisprudenza della sezione lavoro (si vedano, in particolare, Cass. n. 16425 del 2019, Cass. 12 novembre 2019 e Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625, citate), muovendo dal rilievo della specificità del sistema della riscossione dei crediti previdenziali, hanno condotto a esiti interpretativi differenti. Come è stato osservato nelle richiamate decisioni, detta specificità si coglie, in primo luogo, ove si consideri che la materia è regolata da una disciplina apposita, che si rinviene nel D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, artt. 24 e ss.. In virtù di tale disciplina, in difetto di espresse previsioni normative che condizionino la validità della riscossione ad atti prodromici, a differenza di quanto avviene nella materia tributaria e in quella attinente alle sanzioni amministrative (L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14), la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben potendo l'iscrizione a ruolo avvenire in assenza di un atto di accertamento da parte dell'Istituto previdenziale (v. Cass. 21 febbraio 2018 n. 4225; 10 febbraio 2009 n. 3269). Ciò implica che la cartella o avviso di addebito debba contenere una motivazione redatta secondo precise indicazioni ministeriali che, ai sensi del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6 richiede l'indicazione "sintetica" degli elementi di iscrizione a ruolo. Le stesse decisioni hanno poi evidenziato la specificità della disposizione di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5 anche con riferimento alle regole attinenti al contraddittorio nelle controversie di opposizione a cartella esattoriale.

 

12. La peculiarità del sistema della riscossione previdenziale va tenuta in considerazione in vista della ricostruzione sistematica delle tutele. Le indicazioni emergenti dal nuovo orientamento giurisprudenziale formatosi all'interno della giurisprudenza della sezione lavoro impongono una rimeditazione che tenga conto della rilevata peculiarità, già in precedenza enunciata da queste Sezioni Unite in un passaggio della decisione 25 ottobre 2016 n. 23397, laddove si afferma che "dalla complessiva lettura del D.Lgs. n. 112 del 1999.... si trae conferma del fatto che si tratta di decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi".

 

12.2. Con specifico riguardo al processo di opposizione all'iscrizione a ruolo di crediti previdenziali, il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5, - emanato, come il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 112, art. 39 in attuazione della Legge Delega 28 settembre 1998, n. 337 disponeva, nel testo originario, che "contro l'iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all'ente impositore ed al concessionario". Il D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, comma 2 - quater convertito con L. 22 novembre 2002, n. 265 ha modificato il testo dell'art. 24, comma 5, prevedendo che il ricorso contro l'iscrizione a ruolo debba notificarsi "all'ente impositore" ed espungendo, quindi, l'obbligo di notifica al concessionario. Nel testo oggi vigente, e vigente ratione temporis, il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 dispone, dunque, che nel giudizio contro l'iscrizione a ruolo la legittimazione spetta all'ente impositore. Poiché la disposizione del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5 non è stata modificata nella parte concernente la legittimazione dell'ente impositore, anche quando il legislatore ha deciso di mettervi mano espungendo l'obbligo di notifica del ricorso al concessionario, si deve escludere che questa disposizione sia stata implicitamente superata dal D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 emanato successivamente all'art. 24 citato. Ne consegue che, limitatamente al processo attinente alle opposizioni a iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali e alle opposizioni (come quella oggetto della presente decisione), concernenti l'accertamento negativo del debito per fatti successivi all'iscrizione a ruolo, entrambe accomunate dall'attinenza al merito della pretesa contributiva, la legittimazione passiva resta regolata dal citato art. 24, senza che possa trovare applicazione il D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 29 e le conseguenze che da esso ha tratto la giurisprudenza in materia tributaria.

 

12.3. Ricostruita nei termini che precedono la disciplina peculiare della riscossione mediante ruolo dei crediti previdenziali e delle implicazioni applicative, ne discende che le soluzioni sulla legittimazione passiva concorrente e disgiunta tra ente impositore ed agente per la riscossione, adottate dalla giurisprudenza tributaria, o quelle sulla legittimazione necessariamente congiunta, fatta propria dal giudice dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione derivata da illecito amministrativo, risultano non applicabili alle fattispecie in esame. Deve ritersi, invece, per un verso, sussistente la legittimazione a contraddire esclusivamente in capo all'ente impositore, avendo l'azione ad oggetto la sussistenza del debito contributivo iscritto a ruolo, cioè il merito della pretesa contributiva, rispetto al quale l'agente della riscossione resta estraneo, e ciò in conformità al disposto del citato art. 24, il quale declina per il caso di opposizione tempestiva a cartella che la legittimazione passiva è dell'ente impositore. Al contempo non può ritenersi ricorrere un'ipotesi di litisconsorzio necessario: considerato che nel giudizio non si fa questione della legittimità degli atti esecutivi imputabili al concessionario, la sentenza deve ritenersi utiliter data anche senza la partecipazione di quest'ultimo al processo, mentre l'eventuale annullamento della cartella e del ruolo per vizi sostanziali produce comunque effetti nei confronti del medesimo, mero destinatario del pagamento o, più precisamente, avuto riguardo allo schema dell'art. 1188 c.c., comma 1, soggetto (incaricato dal creditore e) autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento, vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (Cass. 25 luglio 2007 n. 16412). La ricorrenza del litisconsorzio necessario, infatti, è funzionale alla tutela dell'integrità del contraddittorio, alla necessità di una decisione unitaria che abbia effetto nei confronti di più soggetti, sicché per il principio del contraddittorio tutti costoro devono essere posti in grado di partecipare al processo. Essa è finalizzata ad attuare la partecipazione di più parti nel processo, anche attraverso l'impulso del giudice, affinché si eviti che lo stesso si concluda con una sentenza inutile, intendendosi il concetto di utilità non come riferito all'esito (positivo per il debitore) del giudizio ma all'idoneità della statuizione a definire il rapporto tra le parti in giudizio in termini satisfattivi del petitum. La rappresentata esigenza non ricorre nel caso in esame, in cui (Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625) l'eventuale annullamento della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti "ultra partes" verso l'esattore (adiectus), senza la necessità della partecipazione dello stesso al processo.

 

13. Ricondotta la questione oggetto di esame delle Sezioni Unite all'ambito circoscritto alla riscossione dei crediti previdenziali, deve affermarsi, quindi, in forza della disciplina del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 che la legittimazione a contraddire compete al solo ente impositore, sicché la proposizione nei confronti del concessionario dell'opposizione tardiva recuperatoria avverso l'iscrizione a ruolo, al fine di far valere l'inesistenza del credito portato dalle cartelle delle quali è stata omessa la notificazione, anche per maturarsi del termine prescrizionale (come nella specie, in cui l'interesse del ricorrente è solo quello, in pratica, di negare di essere debitore per sopravvenuta prescrizione, a suo dire, del credito" Cass. 19 giugno 2019 n. 16425), lungi dal dar luogo ai meccanismi di cui all'art. 107 o 102 c.p.c., determina il rigetto del ricorso per carenza di legittimazione in capo al concessionario medesimo. La parte che introduce il giudizio, infatti, al fine di ottenere una pronuncia nel merito in astratto satisfattiva delle sue ragioni, deve radicarlo correttamente nei confronti del soggetto legittimato a contraddirvi, quale titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio. Poiché l'unico soggetto convenuto in giudizio, nel caso in disamina, è l'agente della riscossione e costui non è titolare del diritto di credito, quanto, piuttosto, mero destinatario del pagamento (Cass. 24 giugno 2004 n. 11746) o, più precisamente, soggetto autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento ex 1188, I c.c. (cfr. Cass. 26 settembre 2006 n. 21222, Cass. 15 luglio 2007 n. 16412), si evidenzia il difetto di legittimazione passiva in capo all'agente per la riscossione ed il difettoso radicamento del contraddittorio da parte di chi ha agito in giudizio nei confronti esclusivamente del medesimo.

 

14. Il difetto di "legitimatio ad causam", come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, essendo la Corte di Cassazione dotata di poteri officiosi in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere iniziato o proseguito (in tal senso Cass. S.U. 9 febbraio 2012 n. 1912: "l'istituto della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio (legittimazione attiva o passiva) - invero - si ricollega al principio dettato dall'art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta - trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data - la verifica, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo (salvo che sulla questione sia intervenuto il giudicato interno) e in via preliminare al merito (con eventuale pronuncia di rigetto della domanda per difetto di una condizione dell'azione), circa la coincidenza dell'attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta (Cass. n. 11190 del 1995; Cass. n. 6160 del 2000; Cass. n. 11284 del 2010)... da tale accertamento discende la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 382 c.p.c., comma 3, atteso che la causa non poteva essere proposta." Il principio è enunciato anche da Cass. 20 giugno 2006 n. 14266: "L'accertamento del difetto di "legitimatio ad causam", eliminando in radice ogni possibilità di prosecuzione dell'azione, comporta, a norma dell'art. 382 c.p.c., u.c., l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione" (nello stesso senso anche Cass. 4 aprile 2012 n. 5375 e Cass. 8 agosto 2012 n. 14243).

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