Il diritto all'assistenza degli extracomunitari

Il diritto all'assistenza degli extracomunitari non può essere limitato dal Legislatore, il possesso di requisiti ulteriori rispetto al soggiorno legale sul territorio costituisce violazione degli articoli 2, 3 e 10 della costituzione...la giurisprudenza di costituzionalità e di legittimità 
 
 
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Una questione che ha formato oggeto di attenta analisi da parte della giurisprudenza di legittimità e costituzionale di recente è quella relativa al diritto all'assistenza sociale in favore del cittadino extracomunitario legalmente soggiornante in Italia.
 
Al riguardo, l’art. 41 del decreto legislative n. 286/1998, prima degli interventi additivi della Consulta, dispone che: “gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti”.
 
Il comma 19 dell’art. 80 della legge n. 388 del 2000, sempre prima degli interventi additivi della Consulta, dispone, in materia, che “ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno”.
 
Il d.lgs. n. 3 del 2007, modificando l’art. 9 del T.U. sull’immigrazione, ha introdotto, in sostituzione della carta di soggiorno, il permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo, che viene concesso allo “straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale...”.
 
Invero, sulla questione controversa e sul complesso delle norme richiamate, la Corte Costituzionale è intervenuta con tre sentenze dichiarative della illegittimità costituzionale della l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19, (Legge finanziaria 2001) e del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art.9, comma 1, (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - come modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189, art. 9, comma 1, e poi sostituito dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, art. 1, comma 1, (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) - nella parte in cui dette norme escludono, rispettivamente, che l'indennità di accompagnamento (Corte cost. sent. n. 306 del 2008), la pensione di inabilità di cui alla l. n. 118 del 1971, art. 12 (Corte cost. sent. n. 11 del 2009)) e l'assegno di invalidità previsto dalla l. n. 118 del 1971, art. 13, poi sostituito ad opera della l. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, (Corte cost. sent. n. 187 del 2010) siano attribuibili agli stranieri extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato soltanto se in possesso della carta di soggiorno (ora, permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo).
 
Secondo la Consulta deve ritenersi manifestamente irragionevole subordinare, quanto ai cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti in Italia, l'attribuzione delle prestazioni assistenziali sopra indicate al possesso di un titolo di legittimazione che (come la carta di soggiorno o il permesso di soggiorno CE) richiede, per il rilascio, tra l'altro, la titolarità di un reddito in un determinato ammontare e il regolare soggiorno nello stato da un certo numero di anni (attualmente, cinque).
 
Tale manifesta irragionevolezza - ha sottolineato il giudice delle leggi - comporta che le norme sopra richiamate ed oggetto di censura costituzionale contrastano con l'art. 2 Cost. sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza, nonchè con l'art. 3 Cost. e violano, altresì, l'art. 10 Cost., dal momento che tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.
 
Con la sentenza n. 306 del 2008, la Corte Costituzionale ha soggiunto che “al legislatore è consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli, che regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia, ma una volta che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona”.
 
Anche la Suprema Corte, con la recente sentenza n. 14733 del 2011, ha avuto modo di pronunciarsi, in subiecta materia, evidenziando, in linea con la Consulta che “L'extracomunitario che soggiorna legalmente in Italia ha diritto all'indennità di accompagnamento e alla pensione di invalidità anche se non è titolare di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno Ce)”.
 
In definitiva, la giurisprudenza di legittimità e costituzionale succintamente esaminata, ha enucleato un principio generale immanente nell'ordinamento costituzionale che è quello della piena equiparazione dei cittadini comunitari ed extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio nazionale ai fini del godimento del diritto all'assistenza sociale.



Corte costituzionale 30 luglio 2008 n. 306


È manifestamente irragionevole subordinare, come dispongono l'art. 80 comma 19 l. 23 dicembre 2000 n. 388 e l'art. 9 l. 30 luglio 2002 n. 189, l'attribuzione di una prestazione assistenziale quale l'indennità di accompagnamento al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l'altro, la titolarità di un reddito. Poiché tale irragionevolezza incide sul diritto alla salute, ne consegue il contrasto delle disposizioni in questione non soltanto con l'art. 3 cost., ma anche con gli art. 32 e 38 cost., nonché - tenuto conto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale della persona - con l'art. 2 cost. Tali disposizioni violano anche l'art. 10 comma 1 cost., dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.



Cassazione civile  sez. lav. 05 luglio 2011 n. 14733


CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perchè proposti contro la stessa sentenza (art.335 c.p.c.).
2. Nell'unico motivo del ricorso principale l'INPS denuncia violazione della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, della L. n. 118 del 1971, art. 12 e della L. n. 18 del 1980, art. 1, assumendo che solo agli stranieri extracomunitari titolari di carta di soggiorno è attribuibile il diritto alle provvidenze assistenziali previste dalla legge nazionale. Aggiunge che la Corte costituzionale (sent. 324/06) ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all'art.80, comma 19, citato e sottolinea, da ultimo, che l'art. 41 dell'Accordo di cooperazione tra la CEE e il Regno del Marocco è volto a disciplinare le prestazioni di natura previdenziale (e non quelle di invalidità civile), come dimostrerebbe il suo continuo riferirsi ai "lavoratori" e che, in ogni caso, le prestazioni socio assistenziali non possono essere fatte rientrare nella nozione di sicurezza sociale contenuta nel Regolamento CE 1408/71 attraverso una comparazione con le previsioni del ripetuto art. 41, in quanto i regolamenti della Comunità Europea non riguardano i rapporti tra uno Stato Europeo e uno extraeuropeo.
3. A sua volta, nell'unico motivo del suo ricorso incidentale N. S., nella qualità, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 33 del 1980, art. 14 secties, di conversione, con modificazioni, del D.L. n.663 del 1979, nonchè della L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13, sostenendo che, ai fini della verifica del requisito reddituale stabilito dalla L. n. 118 del 1971, art. 12 per il riconoscimento della pensione di inabilità, il reddito imponibile IRPEF che rileva è soltanto quello personale dell'inabile; ha errato, pertanto, la Corte d'appello nel ritenere che debba aversi riguardo anche al reddito prodotto dai vari componenti il nucleo familiare dell'inabile.
4. Sia il ricorso principale che quello incidentale non sono fondati, dovendo la conclusiva statuizione della Corte di merito - comportante l'affermazione del diritto di E.L. alla indennità di accompagnamento, e il rigetto, invece, della domanda dell'invalida relativa alla pensione di inabilità - ritenersi conforme a diritto, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata necessiti di correzione e integrazione nei sensi di cui alle considerazioni che seguono (art. 384 c.p.c., comma 4).
5. Sulle questioni controverse, dopo il deposito della sentenza impugnata e degli stessi ricorsi per cassazione, si è pronunciata la Corte Costituzionale con tre sentenze dichiarative della illegittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19, (Legge finanziaria 2001) e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art.9, comma 1, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - come modificato dalla L. 30 luglio 2002, n. 189, art. 9, comma 1, e poi sostituito dal D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, art. 1, comma 1, (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) - nella parte in cui dette norme escludono, rispettivamente, che l'indennità di accompagnamento (Corte cost. sent. n.306 del 2008), la pensione di inabilità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 (Corte cost. sent.
n. 11 del 2009)) e l'assegno di invalidità previsto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13, poi sostituito ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, (Corte cost. sent. n. 187 del 2010) siano attribuibili agli stranieri extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato soltanto perchè non in possesso della carta di soggiorno (ora, permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo).
6. L'intervento del giudice delle leggi fa seguito alla scelta legislativa, espressa nelle norme sottoposte a scrutinio di costituzionalità, di circoscrivere la platea dei fruitori delle prestazioni sociali da riconoscere in favore dei cittadini extracomunitari, intervenendo direttamente sui presupposti di legittimazione al conseguimento delle provvidenze assistenziali e individuandone, per l'effetto, i beneficiari solamente nei cittadini extracomunitari titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE); così, in sostanza, facendo venir meno, quanto ai soggetti legittimati a fruire di trattamenti assistenziali, la equiparazione, precedentemente esistente, fra i cittadini italiani e gli stranieri extracomunitari in possesso di regolare permesso di soggiorno.
7. La Corte costituzionale ha giustificato il proprio intervento additivo osservando come sia da ritenere manifestamente irragionevole subordinare, quanto ai cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti in Italia, l'attribuzione delle prestazioni assistenziali sopra indicate al possesso di un titolo di legittimazione che (come la carta di soggiorno o il permesso di soggiorno CE) richiede, per il rilascio, tra l'altro, la titolarità di un reddito in un determinato ammontare e il regolare soggiorno nello Stato da un certo numero di anni (attualmente, cinque). Invero, nell'ordinamento giuridico nazionale, l'indennità di accompagnamento è concessa dalla L. n. 18 del 1980 ai soggetti totalmente inabili per il solo fatto della minorazione, senza che le condizioni reddituali vengano in alcun modo in rilievo; mentre l'assegnazione della pensione di inabilità e, rispettivamente, dell'assegno di invalidità civile richiede la dimostrazione delle disagiate condizioni reddituali espressamente e specificamente stabilite per detti benefici assistenziali dalla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 (norma, quest'ultima, da leggersi, oggi, nel testo sostituito, come già detto, dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35).
8. Tale manifesta irragionevolezza - ha sottolineato il giudice delle leggi - comporta che le norme sopra richiamate ed oggetto di censura costituzionale contrastano con l'art. 2 Cost. sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza, nonchè con l'art. 3 Cost. e violano, altresì, l'art. 10 Cost., dal momento che tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.
9. In definitiva, secondo le sentenze costituzionali in commento, se è consentito al legislatore subordinare l'erogazione di determinate prestazioni (purchè non inerenti a rimediare a gravi situazioni d'urgenza) alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, una volta, però, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, assume carattere discriminatorio nei confronti dei cittadini extracomunitari - e sono, perciò, costituzionalmente illegittime - le norme che stabiliscano, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini italiani.
10. Esaminando il ricorso dell'INPS alla stregua degli indicati principi, osserva questa Corte che l'Istituto previdenziale non contesta l'idoneità del permesso di soggiorno di cui è titolare l'invalida ad abilitarla a soggiornare legalmente in Italia, nè contesta l'accertamento della sentenza impugnata relativo al carattere non episodico e di non breve durata di tale soggiorno (affermando la Corte d'appello che, all'epoca della domanda, E.L. soggiornava in Italia dal 1990 ed in modo stabile, convivendo con familiari lavoratori). Il ricorso, invero, è tutto e solamente incentrato a sostenere che quel titolo di legittimazione non è idoneo a consentire il riconoscimento del diritto del cittadino extracomunitario alle prestazioni assistenziali di cui alla L. n. 118 del 1971 (pensione di inabilità e assegno di invalidità) e alla L. n. 18 del 1980 (indennità di accompagnamento), essendo necessaria, a tal fine, la titolarità della carta di soggiorno.
11. Quanto poi alla questione prospettata nel ricorso incidentale, la giurisprudenza più recente di questa Corte (vedi Cass. n.5003 e 4677 del 2011, citate anche dalla ricorrente nella sua memoria) - operando una ricostruzione sistematica della normativa che, ne tempo e frammentariamente, ha dato regola, rispettivamente, alla pensione di inabilità e all'assegno di invalidità civile con riferimento alle condizioni reddituali richieste per l'assegnazione dei benefici in questione - ha ritenuto che, per la pensione di inabilità, debba aversi riguardo non solamente al reddito proprio dell'invalido ma anche - se costui è coniugato -, al reddito (eventuale) del coniuge;
onde il beneficio va negato quando l'importo del primo, ovvero di quello complessivamente posseduto dai coniugi, superi il limite determinato con i criteri indicati nella L. n. 118 del 1971, art. 12 (criteri che, oggi, a seguito della sostituzione del testo dell'art. 13 della stessa legge ad opera della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, valgono anche per l'attribuzione dell'assegno di invalidità civile).
12. Nel caso concreto, il ricorso non fa alcun riferimento alla condizione personale dell'invalida (se si trattasse cioè di persona coniugata o meno), limitandosi la ricorrente a sostenere la tesi - come si è visto giuridicamente errata - che ai fini del riconoscimento della pensione di inabilità debba aversi riguardo unicamente ai redditi propri dell'invalido.
Soltanto nella memoria prodotta ex art.378 c.p.c. - e, dunque, inammissibilmente (vedi Cass. Sez. un. n. 11097 del 2006) la ricorrente deduce che E.L. era nubile e priva di redditi propri, tra l'altro richiamando a dimostrazione di tali circostanze di fatto documenti che si dicono prodotti in sede di merito, ma che non sono menzionati e trascritti nel loro contenuto nel ricorso per cassazione, così come impone il principio di autosufficienza dell'atto.
13. Va aggiunto che, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, l'odierna ricorrente non ha rivendicato, neppure in subordine, nel giudizio di merito, il proprio diritto alla pensione di inabilità con riferimento alla insussistenza (ovvero alla inconsistenza) di un reddito coniugale; nè ha sollevato in questa sede alcuna censura di omessa pronuncia, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., in ordine a tutta la domanda proposta; la pretesa concretamente azionata muove, infatti, dal presupposto che il reddito cui deve aversi riguardo, agli effetti della condizione richiesta dalla L. n. 118 del 1971, art. 12, è unicamente quello proprio dell'invalido.
14. Ne consegue che non rileva, ai fini della decisione conclusivamente resa dalla Corte d'appello, l'affermazione del giudice a quo secondo la quale, ai fini della verifica del ripetuto requisito reddituale, va tenuto conto dei reddito complessivamente posseduto da tutti i componenti del nucleo familiare dell'invalido.
15. In conclusione sia il ricorso dell'INPS che quello proposto in via incidentale vanno rigettati.
16. Le spese del presente giudizio sono integralmente compensate tra le parti.
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