La prescrizione del diritto a pensione

La prescrizione del diritto a pensione e la prescrizione dei ratei liquidati e non liquidati, i principi generali, la giurisprudenza e le norme speciali vigenti nell'INPS

 

 

Il diritto a pensione, secondo un principio espressamente codificato dall'art. 5 della L. n. 1092 del 1973 ma ricognitivo del diritto vivente (cfr. Corte dei Conti n 22 del 21 gennaio 1991) e come costantemente affermato in giurisprudenza è imprescrittibile (si veda la giurisprudenza qui di seguito citata).

L'imprescrittibilità del diritto a pensione deriva dall'indisponibilità del diritto e, secondo quanto emerge nel contesto delle motivazioni delle pronunce, include sia l'an che il quantum del diritto (cfr. Corte di Appello di Torino del 9 febbraio 2006).

L'imprescrittibilità del diritto a pensione si spiega anche in considerazione della sua indisponibilità, alla luce del disposto di cui al secondo comma dell'art. 2943 cc a mente del quale: "non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge".

In tale prospettiva, deve ritenersi che non vi siano limiti di prescrizione opponibili alla domanda di riliquidazione del trattamento pensionistico in quanto si tratta di un corollario della imprescrittibilità del diritto a pensione.

Discorso diverso è quello che riguarda la prescrizione dei singoli ratei di pensione. Con riferimento ad essi, la giurisprudenza ha tracciato una distinzione tra il termine di prescrizione applicabile ai ratei pensionistici già liquidati, soggetti alla prescrizione estintiva quinquennale ed il termine di prescrizione applicabile ai ratei non ancora liquidati soggetti al termine di prescrizione decennale.
 
La prescrizione quinquennale o decennale dei ratei pensionistici è poi soggetta alle norme generali in tema di prescrizione con riferimento alla disciplina della sospensione e dell'interruzione. In particolare la proposizione del ricorso amministrativo volto alla riliquidazione della pensione e/o la domanda di corresponsione dei ratei di pensione arretrati e/o del loro supplemento dovuto in esito alla riliquidazione sono atti idonei alla costituzione in mora del debitore e, come tali, idonei ad interrompere il termine prescrizionale ai sensi dell'art. 2943 cc.

Deve, peraltro, sottolinearsi come, nell'ambito dei suesposti principi generali concernenti l'an e il quomodo della prescrizione del diritto a pensione e del diritto ai singoli ratei pensionistici, si innestano discipline speciali che stabiliscono diversi termini di decadenza e prescrizione con riferimento a specifiche tipologie di pensione ed a specifici procedimenti amministrativi.

Ad esempio, nell'ambito dell'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, l'art. 47 del DPR n 639 del 30 aprile 1970 stabilisce che l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
 
L'art. 47 bis del predetto decreto, poi, introdotto dall'articolo 38, comma 1, lett. d), numero 2), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ha stabilito la prescrittibilità quinquennale anche dei ratei non liquidati o delle differenze sui ratei dovute in esito ad eventuali riliquidazioni.

 

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giurisprudenza in materia di prescrizione del diritto a pensione e del diritto ai singoli ratei

 

C.Conti reg.  Veneto  sez. giurisd. 29 ottobre 2008 n. 1154

L'imprescrittibilità del diritto a pensione non esclude l'estinzione del diritto alla riscossione dei singoli ratei in quanto la prescrizione dei ratei di pensione deriva dalla natura non unitaria dell'obbligazione pensionistica, e gli importi corrisposti con cadenza periodica realizzano l'intera prestazione dovuta per il periodo di riferimento in quanto dal rapporto previdenziale scaturisce non un'unica obbligazione complessa ma una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l'intera prestazione dovuta in quel determinato momento.

C.Conti reg.  Lombardia  sez. giurisd. 13 febbraio 2006 n. 96

Va ribadita la distinzione fra diritto al trattamento pensionistico e diritto a percepire i ratei relativi: il primo è imprescrittibile in virtù di un principio radicatosi nella giurisprudenza di questa Corte e poi recepito, per quanto concerne i dipendenti dello Stato, nel diritto positivo (art. 5 d.P.R. n. 1092 del 1973); il secondo soggiace invece alla disciplina dettata dal comma 1 dell'art. 2 r.d.l. n. 295 del 1939 (conv. nella l. n. 739 del 1939), nel testo sostituito dall'art. 2 l. n. 428 del 1985 secondo cui le rate di stipendio e di assegni equivalenti, le rate di pensione e gli assegni indicati nel d.l.lt. 2 agosto 1917 n. 1278, dovuti dallo Stato, si prescrivono con il decorso di cinque anni. Il termine di prescrizione quinquennale si applica anche alle rate e differenze arretrate degli emolumenti indicati nel comma precedente spettanti ai destinatari loro aventi causa a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.


C.Conti reg.  Friuli Venezia Giulia  sez. giurisd. 22 gennaio 1996 n. 9


Stante la imprescrittibilità del diritto alla pensione, la riliquidazione del trattamento di quiescenza va disposta, senza limiti di tempo, nei confronti dei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri cessati dal sevizio prima della pubblicazione della sentenza costituzionale n. 277 del 1991, fatta comunque salva la prescrizione dei ratei pregressi.



Corte appello  Torino  sez. lav. 09 febbraio 2006

Nel caso in cui venga proposta domanda di riliquidazione della pensione, oltre i termini previsti dal procedimento amministrativo, posto che il diritto alla pensione è imprescrittibile, ma non lo è quello ai ratei, i termini di decadenza decorrono dalla maturazione dei singoli ratei, con la conseguenza che ne restano fuori i ratei già decaduti.



MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appellante ripropone preliminarmente l'infondatezza della pretesa per decadenza ex art. 47 comma 2° DPR 639/70 non essendo stato proposto tempestivo ricorso amministrativo avverso l'originaria liquidazione ed essendo trascorso il termine triennale.
Deve peraltro escludersi che la decadenza precluda la domanda di accertamento della corretta misura della pensione anche per il periodo successivo alla proposizione della domanda giudiziaria. Tale tesi estrema (non è chiaro se sostenuta dall'Inps) è certamente errata, stante l'imprescrittibilità del diritto a pensione (sia nell'an che nel quantum) e la prescrittibilità solo dei ratei. La distinzione tra imprescrittibilità della pensione e prescrittibilità dei ratei è sempre stata affermata sia in dottrina che in giurisprudenza ed ha trovato conferma nell'art. 6 comma 1° seconda proposizione d.l. 103/91: "La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilità della relativa domanda giudiziale".
Deve perciò comunque esaminarsi il merito della questione.
Il tribunale ha ritenuto che il beneficio di 7 anni di anzianità concesso dall'art. 4 cit. valga non solo ai fini dell'acquisizione del diritto a pensione ma anche per la misura della pensione, da calcolarsi sull'anzianità di 35 anni e non su quella di contribuzione effettiva.
L'Inps appellante sostiene il contrario.
Questa corte - che si era reiteratamente pronunciata in senso favorevole alla tesi dell'Inps sin dalla sentenza 446/2000 in causa INPS/Santangelo ed in numerose successive - ha mutato orientamento (con le sentenze 98/04, 774/04 e numerose conformi) in considerazione del sopraggiunto contrario indirizzo della corte di cassazione che con le sentenze nn. 17822 e 17823/03 (quest'ultima in particolare cassando una sentenza di questa corte) e numerose conformi successive ha invece affermato il seguente principio di diritto: "Nel pensionamento anticipato dei lavoratori addetti ai pubblici servizi di trasporto (autoferrotranvieri), disciplinato dall'art. 4 del d.l. 25.11.1995 n. 501 convertito con modificazioni dalla legge 5.1.1996 n. 11, l'aumento figurativo o convenzionale dell'anzianità contributiva rileva non solo ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità, ma anche ai fini della misura stessa".
Questa corte, non avendo l'appellante Inps addotto nuovi e diversi argomenti rispetto a quelli già respinti dalla Corte di cassazione, non ritiene doversi discostare, anche in doveroso ossequio all'attività di nomofilachia della corte suprema, dal suo più recente indirizzo riaffermando pertanto che il beneficio ha effetto anche per la misura della pensione.
Ma l'appellante Inps ribadisce, oltre la tesi di merito sopra esposta, altresì l'eccezione preliminare di decadenza ex art. 47 DPR 639/70 o, in subordine, la limitazione del diritto al ricalcolo dall'aprile 2004 (cioè dal mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa di riliquidazione della pensione).
In fatto è pacifico:
1. che l'A.B. fu collocato in pensione dal 1.12.1997 a seguito di domanda di pensionamento con i benefici di cui all'art. 4 comma 1° d.l. 501/95, con riconoscimento dell'anzianità figurativa di 35 anni ai soli fini della maturazione del diritto a pensione e conseguente liquidazione della pensione sulla base della minor anzianità effettiva;
2. che il 2.3.2004 egli presentò domanda di riliquidazione della pensione sulla base di 35 anni di contribuzione e, a seguito del silenzio dell'Inps, propose ricorso al comitato provinciale, senza esito;
3. che il 13.1.2005 egli depositò ricorso giurisdizionale avanti il tribunale di Torino.
Prima di affrontare la spinosa esegesi dell'art. 47 comma 2° DPR 639/70, della norma interpretativa di cui all'art. 6 d.l. 103/91 conv. in l. 166/91, e della norma sostitutiva di cui all'art. 4 d.l. 384/92 conv. in l. 438/92, occorre rilevare che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha espresso due opposti orientamenti sull'applicabilità dell'art. 47 cit. e successive modifiche al caso in cui la domanda giudiziale sia volta non già ad ottenere il diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata ma solo l'adeguamento della medesima (e il caso in esame rientra tra questi, discutendosi unicamente della misura della pensione).
Un primo orientamento ritiene che in tal caso il termine di decadenza non si applica e "la pretesa non soggiace ad altro limite temporale che non sia quello dell'ordinaria prescrizione decennale" (Cass. 209/00 in tema di perequazione automatica delle pensioni; nello stesso senso Cass. S.U. 6491/96 in tema di rivalutazione dell'indennità di disoccupazione); ritiene infatti la Cassazione che la domanda di pensione riguardi di necessità la prestazione nella sua interezza (non essendo concepibile una domanda per una parte soltanto del trattamento), mentre la mancata inclusione degli adeguamenti di legge nella liquidazione del relativo importo dà luogo ad un adempimento parziale ed alla corresponsione di un trattamento inferiore al dovuto: di qui, la conclusione dell'inapplicabilità ai casi di specie del termine decadenziale stabilito dall'art. 47 cit.
Un secondo orientamento - Cass. 4636/04, Cass. 8871/97 - afferma al contrario (in tema di conguaglio dell'indennità di disoccupazione agricola) che la decadenza prevista dall'art. 47 "si applica anche in caso di riconoscimento parziale del trattamento dovuto, perchè il diritto alla somma residua è indistinguibile dal diritto all'intera somma prima del pagamento parziale, ma a seguito di questo è configurabile come diritto separato, concettualmente distinto e suscettibile di autonome vicende, e quindi non sottratto a decadenze, come non lo è alla prescrizione".
Tale contrasto nell'ambito della Corte di cassazione si è riproposto anche presso questa corte specificamente nella materia in esame della domanda di riliquidazione della pensione degli autoferrotranvieri.
Secondo un orientamento la domanda di riliquidazione è stata ritenuta soggetta al regime dell'art. 47 DPR 639/70 e 6 d.l. 103/91 (prescindendo per il momento dal fornire l'interpretazione della complessa normativa): in tal senso Corte appello Torino 1019/05, 1027/05, 1052/05.
Secondo altro orientamento, invece, si è ritenuta inapplicabile tale normativa di decadenza sostanziale con la conseguenza che gli arretrati sono soggetti solo al termine di prescrizione decennale; in tal senso Corte appello Torino 625/05 e 1629/05.
Ritiene la corte preferibile il primo orientamento (anche tenuto conto che l'interpretazione accolta esclude le più gravi conseguenze per i pensionati, come sotto si vedrà) poiché l'art. 47 è norma generale: il primo comma, rimasto invariato nel tempo, afferma che "Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l'azione dinanzi l'autorità giudiziaria" ed il secondo comma si apre con la previsione ampia "Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza ...".
Non ritiene questa corte, di fronte a tale ampia dizione che sia consentito distinguere tra controversie aventi per oggetto l'an del diritto a pensione e controversie relative al quantum: tutte sono controversie in materia di trattamenti pensionistici e tutte sono quindi assoggettate al regime dell'art. 47. D'altronde non si dubita che, di fronte alla liquidazione della pensione avvenuta in misura errata (perchè basata su un'anzianità inferiore ai 35 anni), l'interessato ben avrebbe potuto proporre il ricorso amministrativo nei termini di legge; se non lo fece perchè in allora non era chiara quale fosse la corretta interpretazione dell'art. 4, imputet sibi.
Ciò premesso, occorre ora interpretare la portata della decadenza posta dall'art. 47 comma 2° DPR 639/70 che nella sua attuale formulazione stabilisce: "Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunciata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronuncia della predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione".
La corte di cassazione con diverse sentenze (Cass. 11759/04; Id. 20715/04) e, da ultimo, con la sentenza n. 6018/05 - dopo aver ripercorso la travagliata storia dell'art. 47 cit. (che ha portato alla trasformazione di un termine in origine procedimentale in un termine di decadenza sostanziale) - ha ritenuto che la norma regoli esclusivamente l'ipotesi in cui sia stato presentato un ricorso amministrativo tempestivo (o comunque entro i termini per l'esaurimento del procedimento amministrativo) avverso il provvedimento in materia di trattamenti pensionistici (ed in tal caso, il termine di decadenza sostanziale triennale decorre alternativamente: a) dalla comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto; b) dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione; c) dalla data di scadenza dei termini per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di richiesta della prestazione).
Invece, nell'ipotesi in cui nessuno ricorso sia stato presentato (o sia stato presentato un ricorso tardivo ed oltre la scadenza dei termini complessivamente previsti per l'esaurimento del procedimento amministrativo) la norma applicabile è l'ultima parte del 1° comma dell'art. 6 d.l. 103/91 conv. in l. 166/91 intitolato "Regime delle prescrizioni delle prestazioni previdenziali" che recita "I termini previsti dall'art. 47 commi 2 e 3 dpr 30 aprile 1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei.".
In tal caso, pertanto, sia il ricorso amministrativo tardivo che la rinnovata domanda amministrativa sono inutili (in quanto la decadenza dei ratei pregressi può esser impedita solo dalla proposizione della domanda giudiziaria) e possono valere solo come sollecito all'ente.
Poichè nel caso in esame nessuno ricorso amministrativo tempestivo o comunque nel termine complessivamente previsto per l'esaurimento del procedimento è stato proposto avverso il provvedimento di liquidazione della pensione avvenuto nel 1997, ritiene la corte che il regime di decadenza applicabile non sia quello dell'art. 47 comma 2° bensì quello nascente dal combinato disposto di tale norma e dell'art. 6 comma 1° d.l. 103/91; i termini di decadenza decorrono pertanto dalla maturazione dei singoli ratei, con la conseguenza che, essendo la domanda giudiziaria stata proposta il 13.1.2005 rimangono fuori decadenza i ratei maturati dal 13.1.2002 in avanti.
Poichè il tribunale ha invece riconosciuto i ratei arretrati dalla maturazione del diritto a pensione, l'appello dell'Inps deve essere parzialmente accolto.
Infondato è pure il motivo di appello relativo all'improcedibilità della domanda di interessi per non essere stata preceduta da lettera raccomandata ex art. 44 comma 4° d.l. 269/03 conv. in l. 326/03 poiché trattasi di norma evidentemente riguardante la domanda autonoma di interessi e non la richiesta di interessi come accessorio di altra domanda giudiziale, come nel caso in esame.
Le spese di entrambi i gradi sono a carico dell'Inps, soccombente; pare peraltro equo compensarne metà in relazione al solo parziale accoglimento della domanda in punto arretrati.

P.Q.M.

Visto l'art. 437 c.p.c.
in parziale accoglimento dell'appello,
riduce la condanna dell'Inps al pagamento degli arretrati maturati dal 13.1.2002, oltre interessi;
conferma nel resto l'appellata sentenza;
condanna l'Inps a rimborsare all'appellante metà delle spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate per l'intero, per il primo, come in sentenza, e per il presente in euro 2.295,00 di cui 1.615,00 per onorari e 425,00 per diritti oltre Iva e Cpa, con distrazione a favore del difensore, compensata la restante metà.
Così deciso all'udienza del 7.2.2006
IL PRESIDENTE est.
Dr. Carlo PEYRON
Consegnata in Cancelleria per la pubblicazione il 9.2.2006




Cassazione civile  sez. lav. 09 marzo 1996 n. 1904


Diversamente da quanto previsto per le pensioni di anzianità e d'invalidità erogate dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per avvocati e procuratori relativamente alle quali l'istanza dell'interessato si pone quale necessario presupposto per la decorrenza del trattamento previdenziale, il diritto alla pensione di vecchiaia, a carico della stessa Cassa, matura col compimento del sessantacinquesimo anno, atteso che il requisito dell'età concorre, con l'anzianità assicurativa e contributiva prescritta, ad integrare la fattispecie costitutiva del suindicato diritto, e pertanto sorge automaticamente, come del resto sancito dagli art. 1 e 2 l. 20 settembre 1980 n. 576 (avente ad oggetto la riforma del sistema previdenziale forense) al compimento dell'età pensionabile ove sussista la prescritta anzianità contributiva; ne consegue l'imprescrittibilità del diritto alla pensione suddetta e l'inapplicabilità della prescrizione quinquennale - sancita dall'art. 129 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, conv. con modificazioni dalla l. 6 aprile 1936 n. 1155, per i ratei di pensione non riscossi, a decorrere dalla loro scadenza - ai crediti previdenziali forensi non esigibili in quanto non ancora liquidati dalla Cassa, dovendosi applicare a questi ultimi la prescrizione decennale prevista dall'art. 2946 c.c.


Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 30.12.1991, l'avvocato Riccardo Santoro, nato il 10.11.1917, premesso di aver conseguito il diritto alla pensione di vecchiaia dall'1.12.1982, presentando, però, la relativa domanda solo il 25.7.1989, e che la Cassa gli aveva pagato i ratei di pensione arretrati dall'1.8.1984, ossia nei limiti della prescrizione quinquennale, e chela stesa cassa aveva preteso interessi sui contributi relativi agli anni 1960-1974, eccedenti rispetto a quelli iscritti nei ruoli esattoriali; premesso, altresì, di aver erroneamente pagato il contributo in misura maggiore del dovuto, convenne in giudizio, dinanzi al Pretore di Firenze - Sezione Lavoro - la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori, in persona del legale rappresentante, per sentirla condannare al pagamento dei ratei di pensione per il periodo 1.12.1982 - 31.7.1984, nonché al rimborso della somma di L. 2.157.908, per interessi sui contributi mai iscritti a ruolo e di L. 5.334.000, per contributi pagati in eccedenza.
Il Pretore, con sentenza 13 - 15.10.1992, ha accolto le prime due domande, ritenendo che alla pensione non ancora liquidata si applichi la prescrizione decennale, a norma dell'art. 2946 c.c., e che, prima dell'entrata in vigore degli artt. 17 e 19 Legge 20.9.1980 n. 576, la Cassa aveva il potere di accertare il reddito degli iscritti con un meccanismo diverso da quello della autotassazione;; ha rigettato l'altra domanda.
Avverso detta sentenza, ha prodotto appello la Cassa, ribadendo che l'avv. Santoro, non presentando la domanda nel tempo debito, ha posto in essere un comportamento colposo, che ha impedito alla Cassa di procedere alla liquidazione della pensione. Sulla seconda questione, ha ribadito che gli interessi pretesi hanno natura di interessi compensativi e che l'obbligo di corretta denunzia scaturisce dagli artt. 80 R.D. 25.6.1940 n. 954, e 2 e 3 Legge 22.7.1975 n. 319.
Con sentenza 7.4.1993 - 15.4.1993, il Tribunale di Firenze ha ritenuto che, alla fattispecie, vadano applicate le norme generali sulla prescrizione dei diritti di cui agli artt. 2948 e 2946 c.c., in quanto le numerose leggi che hanno disciplinato la previdenza forense non dettano alcuna disciplina speciale della prescrizione dei diritti. Possono essere applicabili, per analogia, i principi enunciati dalla giurisprudenza in tema di prescrizione dei diritti previdenziali. Premesso che la giurisprudenza, sulla base del carattere imprescrivibile del diritto alla pensione, ha sancito il principio che i crediti previdenziali inesigibili, perché non ancora liquidati, si prescrivono in dieci anni, il Tribunale ha rilevato che il diritto alla pensione di vecchiaia, erogata dalla Cassa, sorge automaticamente al momento del primo giorno del mese successivo al compimento dell'età pensionabile, a norma degli art. 1 e 2 Legge 20.9.1980 n. 576, e che la domanda dell'interessato costituisce un atto di esercizio del diritto, con effetti interruttivi della prescrizione. In tale regime, non vi è spazio per la distinzione operata dalla Cassa, perché l'inerzia dell'interessato costituisce il fondamento dell'istituto della prescrizione. Sul secondo motivo, il Tribunale ha rilevato che, al fine della determinazione del contributo soggettivo, prima della introduzione del sistema di autotassazione, previsto dagli artt. 2 e 17 Legge 20.9.1980 n. 576, l'art. 21 del R.D. 25.6.1940 n. 954 prevedeva un sistema di accertamento e liquidazione di ufficio nel quale i contributi dovuti diventavano liquidi solo con la pubblicazione dei ruoli esattoriali ed esigibili nel termine posto dalla pubblicazione; a tale data scadeva l'obbligazione di pagare i contributi e questi, solo allorché divenuti liquidi ed esigibili, sono produttivi di interessi corrispettivi, ex art. 1282 c.c.: poiché i maggiori contributi pagati non erano esigibili, non erano produttivi di interessi, ex art. 1282 c.c. Non erano produttivi neppure di interessi compensativi, come assunto dalla Cassa, atteso che questi ultimi si riferiscono a fattispecie e ratio diverse: nei contratti di scambio, in cui servono a compensare il creditore dei mancati frutti della cosa, da lui consegnata all'altra parte prima di ricevere la controprestazione. Per tali motivi, il Tribunale rigettò l'appello, condannando l'appellante alle spese del grado.
Avverso detta sentenza, ha prodotto ricorso per Cassazione la Cassa, ancorando il gravame a due motivi, illustrati da memoria cui resiste l'Avv. Santoro con controricorso.
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Motivi della decisione
Con il primo motivo d'impugnazione la ricorrente deduce violazione dell'art. 2948 n. 4 Cod. Civile e dell'art. 129 legge 6.4.1936, n. 1155 (NDR: R.D.L. 04.10.1935, n. 1827 art. 129), nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, Cod. Proc. Civile.
Censura la sentenza per avere ritenuto applicabili alla previdenza forense i principi e la disciplina in materia di previdenza sociale obbligatoria, secondo cui la prescrizione breve quinquennale prevista dall'art. 129 legge 6.4.1936, n. 1155, per i ratei di pensione non riscossi, non opera in relazione ai crediti previdenziali inesigibili, perché ancora non liquidati; laddove, proprio per la specialità di tale norma rispetto all'art. 2948 C.C., la stessa non può ritenersi applicabile al di fuori del sistema assicurativo I.N.P.S., caratterizzato dalla automaticità del diritto al trattamento pensionistico, in cui il raggiungimento dell'età pensionabile, a fronte del pagamento del minimo contributivo, determina il verificarsi del diritto alla pensione.
Diversamente dal sistema di previdenza forense, in cui l'assicurato deve dimostrare l'effettivo esercizio continuativo della professione per 30 anni e fornire alla Cassa le necessarie informazioni. Sicché, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, i singoli ratei di pensione sono assoggettati alla disciplina dettata dall'art. 2948 n. 4 C.C. e si prescrivono in cinque anni.
Il motivo è infondato.
Osserva al riguardo il Collegio che tutto l'impianto della censura in esame si basa sull'erroneo presupposto della differenza di disciplina legislativa tra il sistema pensionistico I.N.P.S. e quello forense in ordine alle modalità di insorgenza del relativo diritto, posto che per il primo se ne assume l'automatismo, nella ricorrenza di determinati presupposti, mentre per il secondo tale diritto viene subordinato, quanto al suo verificarsi, all'iniziativa dell'assicurato, alla cui particolare attività, come per legge, volta a dimostrare la sussistenza di determinati requisiti, lo stesso è condizionato. Di guisa che, pur nella riconosciuta carenza di una specifica regolamentazione della prescrizione dei diritti correlati alla previdenza forense, la diversa disciplina generale di questa, rispetto al sistema previdenziale I.N.P.S., non consente una applicazione analogica alla prima dei principi enunciati dalla giurisprudenza in subiecta materia per quest'ultimo, per cui occorre far capo ai principi generali in tema di prescrizione dettati dagli artt. 2946 e 2948 Cod. Civile.
Al contrario, diversamente da quanto previsto per il regime delle pensioni di anzianità e di invalidità erogate dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per Avvocati e Procuratori, in cui l'istanza dell'interessato si pone quale necessario presupposto per la decorrenza del trattamento previdenziale, il diritto alla pensione di vecchiaia, a carico della stessa Cassa, matura con il raggiungimento del requisito dell'età (compimento del sessantacinquesimo anno), atteso che tale requisito concorre, con l'anzianità assicurativa e contributiva prescritta, ad integrare l fattispecie costitutiva del suindicato diritto, che pertanto sorge automaticamente - come del resto sancito dagli artt. 1 e 2 legge 20 settembre 1980, n. 576, avente ad oggetto la riforma del sistema previdenziale forense - al verificarsi degli eventi cui la legge cennata ricollega lo stesso diritto, ossia l'età pensionabile e la sussistenza del requisito temporale contributivo.
Ribadita, d'altronde, tale indubbia equiparazione tra i due sistemi previdenziali - I.N.P.S. e forense - circa l'automatismo dell'insorgenza del diritto a pensione, dalla stessa correttamente i giudici di merito hanno derivato alcuni corollari decisivi per la questione in esame, quali: a) la possibilità di applicare nella specie, per analogia, i principi generali enunciati dalla giurisprudenza in tema di prescrizione dei diritti previdenziali, in considerazione della identicità della disciplina positiva degli stessi in materia forense e dalla analogia di ratio ad essi sottesa; b) la imprescrittibilità del diritto a pensione e la inapplicabilità della prescrizione quinquennale, sancita dall'art. 129 R.D (NDR: così nel testo). 4 ottobre 1935, n. 1827, per le rate di pensione non riscosse a decorrere dalla loro scadenza, ai credito previdenziali forensi ancora inesigibili, al pari di quelli I.N.P.S., in quanto non ancora liquidati dall'Ente obbligato-assicuratore, nella specie la Cassa; c) la astratta applicabilità ai singoli ratei maturati della prescrizione decennale di cui di cui all'art. 2946 Cod. Civile, in linea con il dettato della sentenza della Corte Costituzionale 3 giugno 1992, n. 246, e la non ricorrenza della stessa nel caso in esame, posto che la inerzia dell'interessato, cessata in anticipo a detto termine, costituisce il fondamento medesimo dell'istituto della prescrizione. Il tutto quale conseguenza dell'ulteriore principi, a sovente affermato da questa Corte, in tema di linea di demarcazione circa la operatività della prescrizione estintiva decennale o quinquennale. Giacché se è vero che il diritto alla pensione, quando concorrano tutte le condizioni richieste dala legge, sorge automaticamente, prescindendo da qualsiasi riconoscimento da parte dell'Ente obbligato, per cui il diritto a percepire le rate può venir meno per effetto della prescrizione anche se non è mai intervenuto un formale provvedimento di riconoscimento della pensione e di liquidazione del relativo importo, è d'altronde indubbio che la esigibilità del credito previdenziale è subordinato alla emanazione dei particolari provvedimenti prescritti dalla procedura di liquidazione; e pertanto, prima che quest'ultima si sia verificata, il credito avente ad oggetto i singoli ratei- anche se sia prontamente determinabile nel suo ammontare in base a criteri legali - non è nè liquido, nè esigibile, con l'effetto che in tal caso il termine prescrizionale è quello decennale previsto in generale dall'art. 2946 Cod. Civile, e non già quello quinquennale, contemplato dall'art. 2948 n. 4 stesso codice, ovvero, specificamente, dall'art. 129 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, menzionato, convertito con modificazioni in Legge 6 aprile 1936, n. 1155.
Con il secondo mezzo di gravame la Cassa denuncia violazione degli artt. 1282 e 1499 C.C.; e degli artt. 80 R.D. 25.6.1940, n. 954, 2 e 25 legge 8.1.1952, n. 6, 2 legge 22.7.1975, n. 319, in relazione all'art. 360 n. 3 C.P.C.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 Cod. Proc.
Civile.
Deduce che erroneamente il Tribunale non ha riconosciuto che, sulla somma dovuta dal professionista a titolo di maggiore contribuzione per gli anni 1960-1974, siano maturati gli interessi corrispettivi, ovvero quelli compensativi, a norma degli artt. 1282 e 1499 C.C.
Rileva: 1) che la omessa liquidazione dei contributi, all'epoca della loro maturazione, fu dovuta a comportamento imputabile all'Avv.
Santoro, che non procedette alle necessarie comunicazioni; 2) che la illiquidità del credito contributivo, ascrivibile a fatto e colpa del debitore, non può impedire la maturazione degli interessi corrispettivi, correlati alla naturale produttività del danaro; 3) che, anche a voler ritenere la illiquidità del credito, malgrado la imputabilità al debitore del comportamento che l'aveva causata, la circostanza rendeva comunque ipotizzabili gli estremi per il riconoscimento degli interessi compensativi. Giacché l'Avv. Santoro, per ottenere un migliore trattamento pensionistico, dichiarò, in sede di autocertificazione, un più elevato livello reddituale per gli anni 1960-1974, e manifestò la propria volontà di versare i maggiori contributi, ancorché prescritti, traendo da ciò un indubbio vantaggio, e pertanto, al fine di riequilibrare la posizione patrimoniale delle parti, egli era tenuto a versare sulla somma dovuta a titolo di maggiore contribuzione quanto meno gli interessi di cui all'art. 1499 Cod. Civile.
Anche tale censura è priva di consistenza.
Al riguardo giova premettere alcuni cenni sulle varie categorie di interessi, come ipotizzati dala legge e precisati dalla elaborazione giurisprudenziale, e sulle loro intrinseche caratteristiche differenziali.
È noto che essi costituiscono una obbligazione pecuniaria accessoria, che si aggiunge, ricorrendone i presupposti, ad una obbligazione pecuniaria principale, e che il debitore è tenuto a corrispondere oltre l'ammontare della somma originaria in misura variabile, in funzione della entità del capitale, della percentuale fissata dalla legge convenuta dalle parti (tasso) e del protrarsi del tempo.
Tale obbligazione accessoria può essere fondata su cause diverse, sicché sotto questo profilo si distinguono gli interessi moratori (art. 1224 C.C.), i quali sono dovuti a titolo di risarcimento del danno provocato nel patrimonio del creditore dal ritardo nell'adempimento di una obbligazione pecuniaria, e presuppongono quindi la c.d. mora debendi, ossia il ritardo colposo del debitore nell'adempimento; gli interessi corrispettivi (art. 1282 C.C.), i quali sono dovuti sulla base della naturale fecondità del danaro, che dà sempre una utilità a chi se ne serve, sicché, indipendentemente dalla mora, competono in base al principio generale secondo cui la utilizzazione del capitale, o di un cosa fruttifera, obbliga l'utente al pagamento di una cosa dello stesso genere, proporzionata, cioè corrispettiva, al godimento ricavato; gli interessi compensativi (art. 1499 C.C.), che sono quelli dovuti nei contratti di cambio quando le reciproche prestazioni dei due contraenti devono avvenire contemporaneamente, e servono a compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della cosa, da lui consegnata all'altra parte prima di ricevere da questa la controprestazione. Il principio, poi, per cui affinché un credito produca interessi è necessario che esso sia non soltanto liquido - ossia determinato, o determinabile nel suo ammontare mediante un processo di puro calcolo sulla base di elementi aritmetici -, ma anche esigibile - del quale cioè il creditore può chiedere l'adempimento perché non sottoposto a termine o condizione, sicché, per converso, ove ad essi sottoposto, la esigibilità si verifica quando il termine è scaduto o la condizione si è concretizza - vale soltanto per gli interessi moratori e per gli interessi corrispettivi, ma non per quelli compensativi, di cui tratta l'art. 1499 C.C.
Orbene, ciò posto, ritiene il Collegio che correttamente i giudici di merito abbiano escluso a carico del Santoro l'obbligo di corrispondere alla Cassa qualsiasi tipo di interessi sulle somme da lui dovute e versate a titolo di differenze contributive tardivamente, per gli anni 1960-1974, appena l'Ente ne fece richiesta, per un ammontare di L. 5.334.000, all'atto della domanda da lui presentata per ottenere la pensione di vecchiaia.
Nel caso in esame, invero, non appare ipotizzabile la configurabilità degli interessi moratori - peraltro neppure oggetto di domanda sotto il profilo di tale categoria-, in quanto nella specie non è dato rinvenire nè la scadenza del termine di adempimento, nel periodo in contestazione, di una obbligazione pecuniaria all'epoca inesistente, nè la interpellatio tempestiva da parte della Cassa per l'adempimento, nè, conseguentemente, la mora del debitore nel pagamento dei contributi aggiuntivi, ossia il ritardo colpevole nel versamento degli stessi.
Non ricorre, d'altronde, neppure la ipotesi degli interessi corrispettivi, oggetto di specifica richiesta da parte della Cassa nella controversia in esame, in carenza dei requisiti della liquidità ed esigibilità del credito contributivo base, attese le modalità di insorgenza dello stesso, della sua determinazione quantitativa e del peculiare sistema di riscossione, secondo la normativa dell'epoca al riguardo vigente.
Anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 17 della legge 20 settembre 1980, n. 576, che pone a carico degli avvocati e procuratori l'obbligo di comunicare alla loro Cassa di previdenza l'ammontare del reddito dichiarato ai fini dell'I.R.P.E.F. per l'anno precedente, e quindi consente all'Ente previdenziale di accettare immediatamente, su tale base reddituale, i contributi dovuti dagli iscritti, sussisteva l'onere della Cassa stessa di attivarsi per gli scopi predetti attraverso un apposito meccanismo, consistente: 1) nella trasmissione nel luglio di ogni anno degli elenchi dei professionisti obbligati alla contribuzione agli uffici distrettuali delle imposte; 2) nella annotazione personale, da parte di questi ultimi, del reddito accertato in via provvisoria o definitiva ai fini dell'imposta di ricchezza mobile per l'anno in corso; 3) nella restituzione di tali elenchi entro il mese di settembre (ex art. 21 R.D. 25 giugno 1940, n. 954) alla Cassa, sì da renderle possibile la conoscenza in via provvisoria dei redditi degli iscritti da porre a base della contribuzione, onere successivamente facilitato dall'obbligo, nel senso che precede, della dichiarazione annuale dei redditi direttamente al proprio Ente previdenziale. Di guisa che, nella vigenza del vecchio sistema, l'Istituto gestore era in grado di attivarsi annualmente per il recupero della contribuzione relativa all'anno precedente, mediante l'assolvimento dell'onere descritto, che consentiva l'accertamento dei contributi dovuti, i quali poi diventavano liquidi con la pubblicazione dei ruoli esattoriali, ed esigibili nel termine posto dalla pubblicazione, ed a tale data scadeva l'obbligazione del loro pagamento; con la conseguenza della contestuale produttività degli interessi corrispettivi in ipotesi di inadempimento da parte dell'obbligo a decorrere da tale momento.
Prima del sistema dell'autotassazione introdotto dagli artt. 2 e 17 della menzionata legge n. 576-80 vigeva, dunque, un metodo di accertamento e liquazione d'ufficio, che imponeva particolari oneri al riguardo soltanto alla Cassa forense, distinti ed indipendenti dagli adempimenti richiesti agli iscritti, che non attenevano ad una collaborazione con l'Ente gestore agli stessi fini, ma concernevano finalità diverse o comunque prodromiche a tali accertamenti, in quanto programmati unicamente a provare la persistenza e la continuità dell'esercizio professionale, quale presupposto per la successiva tassazione, da effettuare con il sistema descritto.
Ne consegue, in concreto, che, non essendosi la Cassa attivata nel senso che precede, e non essendo sorta nel periodo in esame la obbligazione contributiva differenziale a carico del professionista, non è dato configurare, per inadempimento di una obbligazione insussistente all'epoca, alcun onere del Santoro di dover corrispondere gli interessi corrispettivi per tale periodo relativamente ad un importo creditorio accettato come dovuto soltanto successivamente, nel 1989.
Posto che da siffatta situazione deriva la illiquidità ed inesigibilità del credito, entrambe da imputare unicamente ad omissioni di compiti istituzionali della Casa; che nessun addebito concorrente può far carico al professionista, attesa la irrilevanza della sua mancata dichiarazione reddituale integrativa e diretta all'Ente gestore, non sussistendo per legge suoi obblighi al riguardo; che alla tardiva richiesta di ulteriore adempimento contributivo egli ottemperò immediatamente, corrispondendo anche gli interessi pretesi, ma poi riconosciuti non dovuti per le considerazioni che precedono; che, d'altronde, la pretesa contribuzione integrativa, addebitata al Santoro e finalizzata ad una ricostruzione della sua posizione assicurativa pensionistica a lui più favorevole, concerneva crediti ormai prescritti e, ciò malgrado, onorati dall'assicurato.
Nè, infine, possono riconoscersi alla ricorrente interessi compensativi, come correttamente ritenuto dal Tribunale, non ricorrendo nella situazione descritta lo schema ipotizzato dall'art. 1499 Cod. Civile che, per quanto detto, attiene unicamente alla diversa fattispecie dello scambio di cosa contro prezzo, ove il pagamento avvenga dopo la consegna della res, per cui appare equo riequilibrare la posizione delle parti, una delle quali già gode del bene fruttifero, mediante l'accollo a quest'ultima dell'onere degli interessi sul prezzo da pagare successivamente. Va ravvisata, dunque, in tale figura giuridica una ratio diversa da quella ritenuta a base degli interessi corrispettivi, il che, da un lato, giustifica la distinzione delle due categorie operata dal legislatore, altrimenti priva di concreto significato; dall'altro convince della infondatezza di siffatta richiesta subordinata, la quale, sostanzialmente, si traduce in un tentativo di ottenere, attraverso il ricorso ad un istituto estraneo alla fattispecie in esame, l'adempimento di una obbligazione pecuniaria accessoria (interessi corrispettivi) alla quale controparte non è tenuta, non ricorrendone i presupposti di legge.
Non sfugge al Collegio che, in tal modo definita la controversia, dalla situazione favorevole creatasi nei confronti del professionista consegue un palese squilibrio economico in danno della Cassa forense, la quale risulta tenuta a corrispondergli un trattamento pensionistico più elevato, con decorrenza anteriore rispetto al momento della effettiva integrazione contributiva, senza percepire, sotto forma di interessi, l'equivalente pecuniario del mancato utilizzo della stesa somma per l'intero periodo precedente il versamento da parte del Santoro. A tale discrasia, peraltro, scaturente dalla corretta applicazione degli istituti giuridici invocati, ed imputabile unicamente all'Ente gestore sotto il duplice profilo dell'omesso accertamento tempestivo della entità dei contribuenti facenti carico all'assicurato nel periodo per cui è causa, e della riscossione tardiva di quelli differenziali dovuti, malgrado la verificatasi prescrizione degli stessi, la Cassa può porre rimedio non con la domanda di interessi come prospettata, ma, ove ne ricorrano ancora gli estremi ed i presupposti di proponibilità, soprattutto temporali, sperimentando eventualmente l'azione generale di locupletazione, ex art. 2041-2042 Cod. Civile.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Sussistono giusti motivi, correlati alla difficoltà della materia oggetto di causa, per una integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, ai sensi dell'art. 92 Cod. Proc. Civile.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali relative al presente giudizio.
Roma 8 maggio 1995.

 

 

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