Nuova totalizzazione e profili di incostituzionalità del decreto delegato

 

 

Con il D.Lgs. n. 62/2006 il Governo ha dato attuazione alla Legge delega n. 243/2004 in materia di totalizzazione.
    L'istituto della totalizzazione, in Italia, affonda le radici nella pronuncia della Corte Costituzionale n. 61 del 1999 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli articoli 1 e 2 della Legge n. 45/90, "nella parte in cui non prevedono, in favore dell'assicurato che non abbia maturato il diritto a un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni nelle quali è o è stato iscritto, in alternativa alla ricongiunzione" onerosa un meccanismo di cumulo "gratuito" dei periodi di iscrizione e contribuzione presso le varie gestioni.
    La sentenza n. 61 ha trovato una pronta risposta da parte del Legislatore che, con l'art. 71 della L. n. 388/2000, ha definitivamente riconosciuto l'istituto della totalizzazione rinviando ad un regolamento ministeriale (il successivo D.M. n. 57 del 7.2.2003) per la definizione delle modalità operative della totalizzazione.
   La L. n. 388/2000 prevedeva che la totalizzazione fosse esercitabile esclusivamente per l’accesso alla pensione di vecchiaia ed inabilità (per l’esclusione che la totalizzazione potesse essere utilizzata anche ai fini dell’accesso alla pensione d’anzianità, si veda Cass. Civ. Sez. Lav. n. 16645/2003 del 5 novembre 2003) ed a condizione che l’assicurato non potesse conseguire alcun trattamento in nessuna delle gestioni in cui avesse versato la contribuzione.
    La L. n. 388/2000 prevedeva che il calcolo della quota pensionistica a carico di ciascuna gestione fosse effettuato sulla base dei: “criteri stabiliti dal proprio ordinamento”.
    Il D.M. n. 57 del 7.2.2003 che, in aderenza alle indicazioni del Legislatore, ha successivamente disciplinato le modalità d'esercizio del diritto di totalizzazione è stato fatto oggetto di impugnazione giudiziale innanzi al T.A.R. del Lazio, rimanendo, però, sostanzialmente immutato, anche a seguito della sentenza n. 9461/2004, nonostante le numerose censure mosse allo stesso.
  In sostanza, il Legislatore aveva dato seguito alle indicazioni della Corte Costituzionale, consentendo a tutti coloro che non potessero accedere ad alcun trattamento pensionistico a fronte di un percorso previdenziale frammentato di cumulare gratuitamente i periodi contributivi per il conseguimento di una pensione unica.
    Si trattava di un minimo di tutela che il Legislatore avrebbe potuto ampliare ma non ridurre.
    Ed il Legislatore delegante, con la L. n. 243/2004 aveva, per l’appunto, manifestato la volontà (assolutamente chiara) di estendere l’ambito d’applicazione della totalizzazione.
    Fermo restando, infatti, che la totalizzazione avrebbe pur sempre (per non violare il principio cardine espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 61/1999) dovuto consentire il cumulo gratuito a favore di tutti coloro che non potessero conseguire alcun trattamento in nessuna delle gestioni in cui avessero versato la contribuzione, la L. n. 243/2004 prevedeva di: “rivedere il principio della totalizzazione dei periodi assicurativi estendendone l’operatività anche alle ipotesi in cui si raggiungano i requisiti minimi per il diritto a pensione in uno dei fondi presso cui siano accreditati i contributi”.
    In sede di specificazione dell’obiettivo di estensione di cui sopra il Legislatore delegante precisava la propria volontà di: “ridefinire la disciplina in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi, al fine di ampliare progressivamente la possibilità di sommare i periodi assicurativi previsti dalla legislazione vigente (si ritiene che il riferimento fosse anche alla L. n. 388/2000), con l’obiettivo di consentire l’accesso alla totalizzazione sia al lavoratore che abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età sia al lavoratore che abbia complessivamente maturato almeno quaranta anni di anzianità contributiva, indipendentemente dall’età anagrafica e che abbia versato presso ogni cassa, gestione o fondo previdenziale, interessati alla domanda di totalizzazione, almeno cinque anni di contributi. Ogni ente presso cui sono stati versati i contributi sarà tenuto pro quota al pagamento del trattamento pensionistico secondo le proprie regole di calcolo. Tale facoltà è estesa anche ai superstiti di assicurato, ancorchè deceduto prima del compimento dell’età pensionabile”.
    L’intento del Legislatore delegante era chiaro; un vincolo, presente nell’art. 71 della L. n. 388/2000, costituzionalmente legittimo ma altamente restrittivo dell’operatività della totalizzazione, era che potessero avvantaggiarsene solo coloro che, in difetto, non avrebbero maturato alcun diritto a pensione presso alcuna gestione; quel vincolo andava rimosso consentendo l’accesso alla totalizzazione ogni qual volta il richiedente avesse compiuto i 65 anni (pensione di vecchiaia) o avesse complessivamente maturato 40 anni di anzianità contributiva (pensione d’anzianità), indipendentemente dall’età anagrafica, a condizione, però, che avesse (si ritiene solo in quest’ultimo caso) versato presso ogni cassa, gestione o fondo previdenziale almeno cinque anni di contributi.
    Nel quadro dei principi costituzionali richiamati e dei principi enunciati dal Legislatore delegante è intervenuto il decreto legislativo n. 62/2006 in materia di: “totalizzazione dei periodi assicurativi”.
    In sede di commento del summenzionato decreto legislativo, deve premettersi che il criterio per valutare la legittimità costituzionale della legislazione primaria delegata è l’osservanza dei limiti prefissati all’esercizio del potere delegato da parte del Legislatore delegante.
    La ratio è quella che le Camere costituzionalmente preposte all’esercizio del potere legislativo possono, ai sensi dell’art. 77 Cost., delegarne l’esercizio al Governo solo con riferimento ad oggetti definiti, per un tempo limitato e determinando principi e criteri direttivi (cfr. F. Crisafulli, Lezioni di Diritto Costituzionale ed. Cedam pagg. 89 e ss.)
    Nella specie, si ritiene che lo schema di decreto delegato abbia completamente disatteso le indicazioni del legislatore delegante eccedendo, per un verso, l’ambito della delega e violando, per l’altro, i criteri direttivi fissati nella L. n. 243/2004.
    Dalla lettura dell’art. 1, infatti, emerge che la totalizzazione sia accessibile anche a coloro che abbiano già maturato il diritto a pensione (e che ancora non ne siano titolari, discriminazione che sembra, di per sé, violare il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Cost.) ma solo a condizione che abbiano compiuto 65 anni di età ed abbiano accumulato un’anzianità contributiva complessivamente non inferiore a 20 anni ovvero abbiano un’anzianità contributiva complessivamente non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica.
    Il cumulo è ammesso, inoltre, solo per periodi contributivi non inferiori a 6 anni.
  La norma, all’evidenza, introduce, eccedendo la delega, una serie di limiti all’esercizio del diritto di totalizzare periodi contributivi maturati presso diverse gestioni.
    Innanzi tutto pone, quale requisito per l’accesso alla totalizzazione, la maturazione di un’anzianità contributiva minima di 20 anni, violando, con ciò, il principio base fissato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 61/1999 secondo cui, a prescindere dalla maturazione di un’anzianità contributiva minima, la totalizzazione avrebbe dovuto spiegare i suoi effetti: “in favore dell'assicurato che non abbia maturato il diritto a un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni nelle quali è o è stato iscritto”.
    In secondo luogo fissa, come condizione per il cumulo dei periodi contributivi, (ed a tal fine non si comprende se solo per l’integrazione dell’obbligo di pagare la rispettiva quota o anche per la maturazione dell’anzianità complessiva necessaria ai sensi del comma 2 per accedere alla totalizzazione) che ciascun periodo sia pari ad almeno sei anni.
    Tale norma (che inspiegabilmente aumenta di un anno il requisito minimo fissato nella L. n. 243/2004) viene generalizzata e riferita anche al cumulo ai fini della misura (e fors’anche dell’accesso) alla pensione di vecchiaia mentre, anche per adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 243/2004, il Legislatore delegato aveva imposto quel requisito contributivo minimo solo ai fini dell’accesso alla pensione d’anzianità totalizzata (40 anni di contributi a prescindere dall’età).
    Ulteriore palmare violazione della Legge delega in materia previdenziale è la modalità di liquidazione del trattamento di pensione.
    L’art. 4, infatti, fissa la modalità contributiva di cui alla L. n. 335/95 per la determinazione della misura del trattamento a carico degli enti previdenziali pubblici e per gli enti di cui al D.Lgs. n. 103/96 e una modalità contributiva ad hoc per gli enti di cui al D.Lgs. n. 509/94; la L. n. 243/2004 prevedeva, al riguardo, che ogni ente presso cui fossero stati versati i contributi sarebbe stato tenuto pro quota al pagamento del trattamento pensionistico secondo le proprie regole di calcolo.

 

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