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Interessi e anatocismo sono fattispecie giuridiche connesse con le obbligazioni pecuniarie, con le obbligazioni, cioè, aventi per oggetto somme di denaro.
Vige, per le obbligazioni pecuniarie, il principio nominalistico per cui l'oggetto dell'obbligazione pecuniaria è il valore nominale della somma dedotta in contratto e non già il suo valore reale al tempo del pagamento: "i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale".
Il principio nominalistico implica che i rischi della svalutazione sono a carico del creditore ed è applicabile ai soli debiti di valuta; cioè a quei debiti che, sin dal loro sorgere, hanno ad oggetto una somma di denaro.
Il principio nominalistico si applica anche alle obligazioni contratte in valuta estera stante la facoltà concessa al debitore di estinguere l'obbligazione in valuta avente corso legale al tasso del cambio nel giorno della scadenza (in tal caso il rischio dipende dall'oscillazione del cambio).
Deve sottolinearsi, con riferimento alla previsione codicistica dell'estinzione dell'obbligazione in moneta avente corso legale per il suo valore nominale, che le Sezioni Unite, con interpretazione della norma evolutiva e costituzionalmente orientata hanno concluso nel senso di riferire il principio nominalistico non già alla moneta nella sua materialità ma alla determinazione del suo valore ammettendo così l'effetto estintivo di un'obbligazione pecuniaria del pagamento effettuato a mezzo di assegno circolare.
Con specifiche clausole contrattuali o previsioni legali riferite alla specificità di determinati crediti, si persegue l'obiettivo di scongiurare il rischio inflattivo gravante sul creditore per effetto del principio nominalistico; si tratta di clausole contrattuali con le quali il credito viene ancorato al valore di determinati beni al tempo della scadenza o a valute forti (come ad es. il dollaro), ovvero di disposizioni normative che stabiliscono la rivalutazione del credito secondo determinati indici elaborati dall'Istat sulla base di un paniere dei beni periodicamente aggiornato (cfr. l'art. 429 cpc in materia di crediti di lavoro).
I debiti di valore, all'origine, non hanno ad oggetto una somma di denaro liquida sicchè, solo a seguito della liquidazione, si trasformano in debiti di valuta e sono soggetti al principio nominalistico.In tale prospettiva, in sede di liquidazione del debito di valore, occorrerà tenere conto automaticamente della svalutazione nella misura in cui il creditore dovrà conseguire l'equivalente in denaro dell'utilità relativa ad uno specifico bene o ad una specifica prestazione al tempo della liquidazione. In via generale costituiscono debiti di valore quelli che hanno per oggetto il risarcimento del danno (da inadempimento o da illecito) o quelli che hanno per oggetto conguagli o indennizzi. La giurisprudenza ha qualificato, tuttavia, come debiti di valuta quelli aventi per oggetto il risarcimento del danno derivante da sottrazione illecita penalmente di somme.
Con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, gli interessi costituiscono il prezzo del denaro. Ai sensi dell'art. 1282 c.c. i crediti liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto. Tali interessi sono fissati nella misura legale, determinata con Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze ogni anno pubblicato in G.U. non oltre il 15 dicembre dell'anno precedente a quello cui si riferisce, tranne che le parti convengano per iscritto un valore maggiore (cfr. art. 1284 c.c.).
Si usa distinguere tra gli interessi moratori, dovuti a causa del ritardo nell'adempimento da parte del debitore, gli interessi corrispettivi, dovuti in relazione alla dazione di una somma di denaro e gli interessi compensativi che sono, invece, dovuti con riferimento alle obbligazioni di valore o nell'ambito dei contratti di scambio, al creditore per il mancato godimento del bene venduto e consegnato anticipatamente.Gli interessi possono, poi, essere contrattualmente pattuiti in misura diversa rispetto al saggio legale, si parla in tal caso di interessi convenzionali.
Con il termine anatocismo si indica il fenomeno della produzione di interessi sugli interessi. Secondo quanto previsto dall'art. 1283 c.c. l'anatocismo, in mancanza di usi normativi contrari, è ammesso esclusivamente su interessi dovuti da oltre sei mesi ed in caso di domanda giudiziale finalizzata al conseguimento di interessi anatocistici o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza. Con riferimento al fenomeno dell'anatocismo, deve sottolinearsi come le norme bancarie uniformi predisposte dall'A.B.I. che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nei contratti bancari sono state interpretate dalla Suprema Corte come usi negoziali e non come usi normativi con la conseguenza di non poter derogare a quanto disposto dall'art. 1283 c.c..
Ne è discesa la facoltà di ripetere gli interessi anatocistici illegittimamente pretesi dalle Banche (si veda, tra le recenti sentenze, Cass. Civ. Sez. Un. novembre 2004 n. 21095).
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