Art 26 dello Statuto dei Lavoratori

Articolo 26 della legge n 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) in materia di trattenute per i contributi sindacali e la giurisprudenza di legittimità rilevante 
 
ARTICOLO N.26
Contributi sindacali.
 
 
I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.
[Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonchè sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale ] (1).
[Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata] (2).
(1) Comma sostituito dall’articolo 18, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successivamente abrogato dal D.P.R 28 luglio 1995, n. 313, in esito al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995
(2) Comma abrogato dal D.P.R 28 luglio 1995, n. 313, in esito al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995.

Cassazione civile sez. I 17/04/2013 9325

In tema di formazione dello stato passivo, l'insinuazione di un'associazione sindacale per i contributi dovuti dai lavoratori, propri iscritti, dipendenti dell'imprenditore fallito, gode di collocazione privilegiata, poiché il relativo credito sorge a seguito di cessione della retribuzione da parte del lavoratore. 

Cassazione civile sez. lav. 02/08/2012 13886

Il referendum del 1995 abrogativo dell'art. 26, comma 2, st. lav. e il susseguente d.P.R. n. 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo legale, sicché i lavoratori, nell'esercizio della autonomia privata e mediante la cessione del credito in favore del sindacato, possono chiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono. Il datore di lavoro il quale affermi che la cessione comporta in concreto, a suo carico, un onere aggiuntivo insostenibile in rapporto all'organizzazione aziendale ha l'onere di provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che la gravosità della prestazione è tale da giustificare il suo inadempimento, dovendosi escludere che l'insostenibilità dell'onere possa risultare semplicemente dall'elevato numero di dipendenti dell'azienda, dovendosi viceversa operare una valutazione di proporzionalità tra la gravosità dell'onere e l'entità dell'organizzazione aziendale, tenuto conto che un'impresa con un elevato numero di dipendenti ha, di norma, una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis n. 1, c.p.c.). 

Cassazione civile sez. lav. 20/04/2011 n 9049

Il referendum del 1995, abrogativo del comma 2 dell'art. 26 dello statuto dei lavoratori, e il susseguente d.P.R. n. 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo, sicché i lavoratori, nell'esercizio della autonomia privata e mediante la cessione del credito in favore del sindacato, possono chiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato. Qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporta in concreto, a suo carico, un onere aggiuntivo insostenibile in rapporto all'organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex art. 1374 e 1375 c.c., deve provarne l'esistenza, dovendosi escludere, atteso il carattere di proporzionalità insito in tale valutazione, che possa ritenersi provata la suddetta eccessiva gravosità solamente in ragione dell'elevato numero di dipendenti dell'azienda, la cui esclusiva considerazione comporterebbe l'iniquo risultato di ritenere soggette all'onere di operare le ritenute sindacali richieste dai lavoratori le imprese di medie e piccole dimensioni e di escludere quelle più grandi. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto insufficiente la motivazione della corte territoriale che aveva giustificato l'inadempimento delle Poste Italiane s.p.a., ed escluso l'antisindacalità della relativa condotta, in relazione al numero, circa centocinquantamila, dei dipendenti). 

Cassazione civile sez. lav. 20/03/2009 n 6905

Il referendum del 1995, abrogativo del comma 2 dell'art. 26 stat. lav., e il susseguente d.P.R. n. 313/95, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo. Pertanto, ben possono i lavoratori, nell'esercizio della propria autonomia privata ed attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato - cessione che non necessita, in via generale, del consenso del debitore - richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso; qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporti in concreto, a suo carico, un nuovo onere aggiuntivo insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex art. 1374 e 1375 c.c., deve provarne l'esistenza. L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l'efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi. Il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. 

Cassazione civile sez. lav. 11/07/2008 19275

Il rifiuto del datore di lavoro di effettuare i versamenti dei contributi sindacali trattenuti sulla retribuzione, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. 

Cassazione civile sez. un. 21/12/2005 n 28269

L'abrogazione referendaria dell'art. 26, commi 2 e 3, st. lav., ha restituito all'autonomia contrattuale la materia già disciplinata dalla legge in termini di prestazione imposta al datore di lavoro, cosicché resta ammissibile, senza limitazioni, il ricorso a tutti i possibili strumenti negoziali idonei a realizzare lo scopo del versamento ai sindacati della quota associativa mediante ritenuta sulla retribuzione, compresa, tra questi, la cessione del credito, per sua natura connotata dall'irrilevanza del consenso del debitore ceduto. 

Anche dopo l'abrogazione referendaria del comma 2 e 3 dell'art. 26 dello statuto dei lavoratori, è antisindacale la condotta del datore di lavoro che rifiuti, al cospetto di cessione da parte del lavoratore di quote retributive al sindacato non firmatario del contratto collettivo applicabile, di trattenere le quote e di versarle al sindacato cessionario. 

È illegittimo, sia dal punto di vista civilistico, sia da quello della condotta antisindacale ex art. 28 st. lav., il rifiuto del datore di lavoro di effettuare le trattenute sindacali, pur in assenza di un contratto collettivo che lo preveda, essendo applicabile in questo caso, anche dopo l'abrogazione referendaria dei commi 2 e 3 art. 26 st. lav. l'istituto della cessione del credito ex art. 1260 c.c. 

Il referendum del 1995, abrogativo del comma 2 dell'art. 26 stat. lav., e il susseguente d.P.R. n. 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo. Pertanto, ben possono i lavoratori, nell'esercizio della propria autonomia privata ed attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato - cessione che non richiede, in via generale, il consenso del debitore - richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso; qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporti in concreto, a suo carico, un nuovo onere aggiuntivo insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex art. 1374 e 1375 c.c., deve provarne l'esistenza. L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l'efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi. Il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. (Principio affermato in relazione a fattispecie disciplinata dal regime anteriore alla modifica del testo dell'art. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, operata dall'art. 1, comma 137, della legge n. 311 del 2004, che ha resto incedibili, fuori dei casi consentiti dal medesimo testo normativo - poi modificato dall'art. 13 bis del d.l. n. 35 del 2005, conv. in legge n. 80 del 2005 - anche i compensi erogati dai privati datori di lavoro ai dipendenti). 
 
Cassazione civile sez. lav. 16/03/2001 3813
 
Qualora i lavoratori abbiano richiesto al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali e abbiano rilasciato delega allo stesso per versarli ad associazioni sindacali non firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda, il comportamento omissivo del datore di lavoro che rifiuti di effettuare detti versamenti si configura come antisindacale, in quanto pregiudica l'acquisizione da parte del sindacato dei mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento dell'attività, e perciò ricade nella tutela inibitoria di cui all'art. 28 stat. lav. 
 
RICHIEDI CONSULENZA