Il diritto di sciopero e la cassazione in merito al c.d. sciopero delle mansioni
L'articolo 40 della Costituzione italiana disciplina il diritto di sciopero, stabilendo che esso «si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano».
Con la legge n. 146 del 12 giugno 1990 si sono stabilite norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali – che possono essere considerati, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, «quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione».
Nel gergo sindacale si sono date molte definizioni di sciopero a seconda delle diverse modalità o ampiezza della platea di lavoratori in rivendicazione o protesta ad esempio: si parla di sciopero generale quando l'astensione dal lavoro riguarda tutti i lavoratori di un paese, settoriale se interessa un solo settore economico o una categoria di lavoratori (metalmeccanici, chimici, ecc.), locale se sono interessati i lavoratori di una certa zona.
Si è, tuttavia al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E' il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo (v. Cass. 28 marzo 1986 n. 2214).
Cassazione civile sez. lav. 16/10/2013 23528
Innanzitutto, come osservato dalla sentenza impugnata, il rifiuto della prestazione lavorativa per il giorno 22 agosto 2005 è del tutto ingiustificato, atteso che in tale data l'organizzazione sindacale cui il ricorrente aderiva non aveva proclamato lo sciopero.
Ma anche in presenza di una astensione dal lavoro proclamata, come è avvenuto per il giorno 12 agosto 2005, il rifiuto di rendere uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere è illegittimo.
Questa Corte ha in proposito affermato, con orientamento costante, peraltro anche in due controversie nelle quali all'odierno ricorrente erano state inflitte sanzioni disciplinari per fatti analoghi a quelli in esame (cfr. Cass. 12979/11 e Cass. 20273/11), che in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicchè non sono di per sè illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta (Cass. 548/11; Cass. 12977/11; Cass. 12978/11; Cass. 12979/11 e Cass. 20273/11 cit.).
In sostanza, si è al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E' il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza (v. Cass. 28 marzo 1986 n. 2214).
Alle medesime conclusioni, in precedenza, era pervenuta Cass. 25 novembre 2003, n. 17995, la quale, occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di sostituzioni entro l'ambito della c.d. areola (antecedente dell'area territoriale nell'organizzazione delle Poste), ha affermato che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente è "rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore" e "non costituisce esercizio del diritto di sciopero", con la conseguenza che deve escludersi l'antisindacalità della scelta datoriale di applicare una sanzione disciplinare".