Art. 416 Associazione per delinquere
[I]. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni [3051, 3061, 416-bis; 3802m c.p.p.] (1).
QUESTIONI GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA DI ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE
In materia di configurabilità della continuazione tra l’associazione a delinquere ed i singoli reati scopo – configurazione astratta, verifica caso per caso
Cassazione Penale Sez. I del 16 aprile 2007 n. 24750
La continuazione presuppone l'anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, che è situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie, anche se dovuta a un bisogno persistente nel tempo, a una scelta di vita o a un programma generico di attività delittuosa da sviluppare in futuro secondo contingenti opportunità, quale è quello che generalmente connota le associazioni per delinquere. Pertanto, la continuazione fra il reato associativo e quelli che vengono posti in essere in attuazione delle finalità perseguite dall'organizzazione criminale è ravvisabile solo quando risulti che l'autore abbia già previsto in origine, al momento della sua adesione al sodalizio, l' "iter" criminoso da percorrere e i singoli delitti attraverso i quali si snoda. Ne consegue che la partecipazione a un'associazione per delinquere non può costituire, di per sé sola, prova dell'identità di disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli scopi dell'associazione.
La prova della "congiunta previsione" dei diversi reati commessi, tipica della continuazione (art. 81, comma 2, c.p.), investendo l'inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve di regola essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell'esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici (esemplificando, fra gli altri, l'omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita), hanno normalmente carattere "sintomatico", e non direttamente dimostrativo, e il relativo accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni.
Cassazione Penale Sez. I del 21 gennaio 2009 n. 8451
È configurabile la continuazione tra reato associativo e reati fine esclusivamente qualora questi ultimi siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso. (Fattispecie in cui è stata esclusa la continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso e quello di traffico di stupefacenti e conseguentemente è stata ritenuta inapplicabile la disciplina dell'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. alle distinte ordinanze cautelari emesse in riferimento agli stessi).
Cassazione Penale Sez. I del 16 settembre 2008 n. 38441
Ai fini del riconoscimento della continuazione tra reato associativo e fatti specifici oggetto dell'attività associativa non è sufficiente che questi ultimi siano stati commessi nell'ambito di uno stesso sodalizio, occorrendo invece dimostrare l'esistenza del medesimo disegno criminoso, che è cosa diversa dal generico programma di attività delittuose che caratterizza l'associazione per delinquere e ricorre solamente quando i vari reati presi in considerazione siano stati presenti nella mente dell'agente, almeno nelle linee essenziali, sin dal momento in cui viene posto in essere il primo di essi.
In materia di responsabilità per i reati scopo per il mero fatto della partecipazione a vario titolo all’associazione per delinquere
Cassazione Penale Sez. VI del 15 novembre 2007 n. 3194
In materia di reati associativi, il ruolo di partecipe rivestito da taluno nell'ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sé solo sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all'organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso, giacché dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall'ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di "posizione" o da "riscontro d'ambiente". (Fattispecie in tema di associazione dedita al traffico di stupefacenti).
In materia di differenza tra la partecipazione ad associazione per delinquere ed il concorso eventuale nella stessa.
Cassazione Penale Sez. Un. del 12 luglio 2005 n. 33748 - sentenza MANNINO
In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. (In motivazione la Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e precisi - tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi "facta concludentia" -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall'imputazione).
In tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'"affectio societati", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "Cosa nostra", di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima. (In motivazione la Corte, rilevando come la efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo costituisca elemento essenziale e tipizzante della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, ha specificato che non è sufficiente una valutazione "ex ante" del contributo, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento "ex post", in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di "certezza processuale", l'elevata credibilità razionale dell'ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta atipica del concorrente).
Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell'ipotesi del "patto di scambio politico-mafioso", in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale (dunque non inserito stabilmente nel relativo tessuto organizzativo e privo dell'affectio societatis) si impegna, a fronte dell'appoggio richiesto all'associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo. Per la integrazione del reato è necessario che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell'associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell'accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all'esito della verifica probatoria "ex post" della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sè ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell'accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell'intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali.
In tema di associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del concorso esterno occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio. (In motivazione la Corte ha precisato che deve escludersi la sufficienza del dolo eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell'evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenzionalmente perseguiti).
Risponde di partecipazione ad associazione mafiosa colui che risulta in rapporto di stabile e organica compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare l'assunzione di un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato «prende parte» al fenomeno associativo rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (la Corte, ha precisato altresì che sul piano probatorio rilevano tutti gli «indicatori fattuali» dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, l'affiliazione rituale, la commissione di delitti-scopo, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di «osservazione» e «prova», oltre a molteplici, variegati e però significativi facta concludentiaa).
Risponde di concorso esterno in associazione mafiosa il soggetto che, pur non inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio e privo dell''affectio societatiss, fornisce tuttavia ad essa un concreto, specifico, consapevole, volontario contributo, sempre che questo esplichi una effettiva rilevanza causale e cioè si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione o di un suo particolare settore, ramo di attività o articolazione territoriale, e quindi per la produzione dell'evento lesivo del bene giuridico protetto che nella specie è costituito dall'integrità dell'ordine pubblico, violata dal l'esistenza e dall'operatività del sodalizio e dal diffuso pericolo di attuazione dei delitti-scopo del programma criminoso (la Corte ha precisato altresì che sul piano dell'accertamento della causalità non è sufficiente una valutazione "ex ante" del contributo concorsuale, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento "ex post", in esito al quale sia dimostrato l'effettivo nesso condizionalistico tra la condotta stessa e la realizzazione del fatto di reato, come storicamente verificatosi hic et nuncc, con tutte le caratteristiche essenziali connesse alla dimensione plurisoggettiva e associativa dell'evento lesivo).
Ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa sul piano dell'elemento soggettivo occorre dimostrare che il soggetto sia consapevole dei metodi e dei fini dell'associazione mafiosa (a prescindere dalla condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per siffattì metodi e fini, che lo muovessero nel loro interno) e dell'efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o il rafforzamento dell'associazione, talché egli «sa» e «vuole» che il suo contributo sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso, (la Corte ha precisato altresì, con precipuo riferimento al caso concreto sotto posto a scrutinio, che i suddetti requisiti soggettivi sono ben più pregnanti della mera accettazione da parte del concorrente del rischio di verificazione dell'evento, cioè di un contegno psicologico ridotto alla forma meno intensa del dolo eventuale).
È configurabile il concorso esterno nel reato dì associazione di tipo mafioso nell'ipotesi di scambio elettorale politico mafioso, in forza del quale il personaggio politico, a fronte del richiesto appoggio dell'associazione nella competizione elettorale, si impegna ad attivarsi una volta eletto a favore del sodalizio criminoso, pur senza essere organicamente inserito in esso, a condizione che: a) gli impegni assunti dal politico, per l'affidabilità dei protagonisti dell'accordo, per i caratteri strutturali dell'associazione, per il contesto di riferimento e per la specificità dei contenuti, abbiano il carattere della serietà e della concretezza; b) all'esito della verifica probatoria "ex post" della loro efficacia causale, risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé e a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell'accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell'intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali.
Cassazione penale sez. V del 20 aprile 2006 n. 16493
In tema di associazione di tipo mafioso, integra la materialità del "concorso esterno" l'attività del magistrato che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'"affectio societatis", assicuri, in esecuzione di una promessa fatta ai vertici della associazione mafiosa, il proprio voto favorevole alla assoluzione di imputati appartenenti al sodalizio stesso e una gestione compiacente del dibattimento, così precostituendosi un giudice non imparziale ma prevenuto in favore degli imputati, il cui sodalizio si rafforza per effetto del contributo del membro della istituzione giudiziaria, e non essendo viceversa necessaria la prova che egli abbia anche persuaso e orientato le scelte degli altri membri del collegio. (In motivazione la Corte ha censurato la decisione dei giudici di merito i quali avevano assolto il magistrato sul rilievo che era mancata la prova del condizionamento operato dall'imputato sugli altri giudici, pur in presenza di indizi - quali dichiarazioni di collaboranti - non valutati nella loro globalità).
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