Reperibilità medico rifiuto atti ufficio

Rif: Guida al Diritto n 1 del 2 gennaio 2010

Con la sentenza n 42627/2009, la Suprema Corte ha chiarito i presupposti per la configurazione di una responsabilità per rifiuto di atti d'ufficio del medico in servizio di reperibilità individuando i confini entro i quali può legittimamente esplicarsi la discrezionalità tecnica del medico nello stabilire l'an e il quomodo dell'intervento. Ponendosi in una linea di continuità con i suoi precedenti, la Suprema Corte ha chiarito che il medico in servizio di reperibilità, richiesto di intervenire, commette sempre rifiuto d'atti d'ufficio se non si reca al presidio ospedaliero ove presta servizio. In tale ipotesi, dunque, non viene riconosciuto alcuno spazio di discrezionalità al medico. E' solo successivamente alla visita che dunque il medico recupera uno spazio di discrezionalità operativa in ordine al se ed al modo dell'intervento.

Cassazione Penale Ssez. VI  del  29 settembre 2009  n. 42627
In tema di rifiuto di atti d'ufficio, il medico in servizio di reperibilità di cui sia stato richiesto l'intervento da personale tecnico per una situazione di urgenza sanitaria da questo valutata, è obbligato per i suoi compiti d'istituto a intervenire, senza possibilità di sindacare nel merito tale valutazione.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. DI VIRGINIO Adolfo        -  Presidente   -                   
Dott. MANNINO     Saverio Felic -  Consigliere  -                   
Dott. CORTESE     Arturo   -  rel. Consigliere  -                   
Dott. IPPOLITO    Francesco     -  Consigliere  -                   
Dott. CONTI       Giovanni      -  Consigliere  -                   
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1)  O.N.P. N. IL (OMISSIS);
avverso  la  sentenza  n.  18/2006  CORTE  APPELLO  di  POTENZA,  del  12/06/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 29/09/2009 la  relazione  fatta  dal  Consigliere Dott. ARTURO CORTESE;
Udito il Procuratore Generale in persona Dott. VINCENZO GERACI che ha  concluso il rigetto del ricorso;
udito   il   difensore  avv.  BONGIORNO  G.,  che  ha  concluso   per l'accoglimento del ricorso.

FATTO

O.N.P. ricorre per Cassazione contro la sentenza del 12 giugno 2008, con cui la Corte di appello di Potenza ha confermato la sua penale responsabilità per tre delitti di cui all'art. 328 c.p., per avere, in qualità di medico chirurgo in servizio di prima reperibilità presso il Presidio ospedaliere di (OMISSIS), indebitamente rifiutato atti del suo servizio che, per ragioni di sanità, doveva compiere senza ritardo, non recandosi in Ospedale:
a)- in relazione ai ricoveri urgenti dei pazienti D.L.M., affetto da appendicite acuta, e D.N.D., affetto da occlusione intestinale, per i quali inutilmente l'infermiera R.M.P. aveva cercato di contattarlo telefonicamente;
b)- in relazione al ricovero di A.D., di anni 93, affetto da ernia inguinale intasata, per il quale la predetta infermiera aveva richiesto telefonicamente il suo intervento;
c)- in relazione al ricovero della paziente G.A., afflitta da problemi, non risolti nonostante terapia antidolorifica, conseguenti a colecistectomia laparoscopica eseguita presso altro ospedale, per la quale il dott. Pi.Sa., aiuto ortopedico in servizio di guardia aveva ripetutamente richiesto il suo intervento per telefono.
Il ricorso dell' O. s'incentra su quattro motivi.
Con il primo si deduce la nullità dell'ordinanza emessa in data 05.06.2008 e della sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibili per tardività i motivi nuovi di appello depositati il 29 marzo 2007, prendendo erroneamente a riferimento, per il calcolo del termine ad quem di cui al comma 4 dell'art. 585 c.p.p., la prima udienza (del 9 marzo 2006) originariamente fissata nel decreto di citazione a giudizio anzichè quella (del 26 aprile 2007) in cui per la prima volta la citazione dell'imputato risultava ritualmente effettuata.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole, da una parte, della illegittima reiezione, da parte del Tribunale, della richiesta di acquisizione dei tabulati telefonici inerenti alle chiamate in entrata e uscita dal reparto di chirurgia dell'Ospedale di (OMISSIS) effettuate nella data degli episodi di cui al capo a) e, dall'altra, della illogicità in cui è incorsa la Corte d'appello, che, dopo aver ritenuto necessaria l'acquisizione dei predetti tabulati in relazione all'episodio di cui al capo a) dell'imputazione, ha poi - a fronte dell'accertata impossibilità di ottenere detti tabulati - assunto ugualmente una decisione confermativa della condanna per tale capo sulla base di elementi probatori già ritenuti in precedenza insufficienti.
Col terzo motivo di ricorso il prevenuto rileva che, relativamente all'episodio di cui al capo c) della rubrica, manca all'evidenza il presupposto tipico del delitto contestato, e della stessa previsione di cui all'art. 22 del "Contratto integrativo e applicativo del c.c.n.l. 1998-2001 della dirigenza medica e veterinaria", costituito da una "richiesta" d'intervento, posto che nella specie il medico di guardia chiese solo dei chiarimenti all'imputato, non prospettando, e comunque non consentendo all' O. di rappresentarsi, una situazione di urgenza richiedente il suo intervento.
Col quarto e ultimo motivo si contesta in generale l'assunto della tassatività e automaticità dell'obbligo di intervento del medico di prima reperibilità, che escluderebbe qualsiasi margine di discrezionalità tecnica e si lamenta in particolare, in relazione all'episodio di cui al capo b), che non è stata presa in considerazione dalla Corte d'appello la doglianza relativa alla dedotta circostanza (integrante l'esimente di cui all'art. 51 c.p.) che, mentre l'imputato si stava recando in Ospedale, fo avvertito dall'infermiera che il responsabile primario, superiore gerarchico dell' O., aveva escluso la necessità di intervenire prontamente, ritenendo sufficiente un trattamento farmacologico.
Con motivi nuovi la difesa ha ripreso in particolare la tematica relativa ai margini di discrezionalità che non possono (a meno di non voler confondere la fattispecie del rifiuto di cui all'art. 328 c.p. con la mera interruzione di pubblico servizio e con violazioni di natura meramente disciplinare) non essere riconosciuti anche al medico di reperibilità e ha insistito sull'insussistenza in fatto dei presupposti del reato in relazione agli episodi di cui ai capi b) e c) della rubrica, rilevando altresì che, richiedendo comunque il delitto ex art. 328 c.p. il dolo, un eventuale errore nella valutazione delle circostanze relative alla urgenza e indifferibilità anche derivante dall'erronea interpretazione della disciplina contrattuale renderebbe colposa e quindi non punibile l'omissione del soggetto: il che consente in particolare di escludere con certezza la rilevanza penale della condotta del prevenuto in relazione al capo a) della rubrica, in cui, non avendo egli ricevuto alcuna telefonata, nessuna situazione di urgenza gli è stata rappresentata.

DIRITTO

Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte d'appello ha, invero, ritenuto inammissibili per tardività i motivi nuovi di appello depositati il 29 marzo 2007, prendendo a riferimento, per il calcolo del termine ad quem di cui all'art. 585 c.p.p., comma 4, la prima udienza, del 9 marzo 2006, originariamente fissata nel decreto di citazione a giudizio.
Tale udienza, però, non potè essere celebrata, mancando la rituale notifica della citazione dell'imputato, che avvenne solo per l'udienza del 26 aprile 2007.
Ora, è evidente che, essendo quello di cui al cit. art. 585 c.p.p., comma 4 un termine finale fissato per la delimitazione dell'esercizio del diritto di difesa dell'imputato in riferimento a un evento - prima udienza del giudizio di appello - per la partecipazione al quale egli ha diritto ad essere, a pena di nullità, ritualmente citato, il termine stesso non può utilmente decorrere (pena l'inaccettabile pregiudizio del diritto di difesa oggetto di regolazione) che in riferimento alla prima udienza per la quale la detta rituale citazione abbia luogo. Identificandosi nella specie tale udienza in quella del 26 aprile 2007, il termine libero di quindici giorni anteriori a tale data per la presentazione dei motivi nuovi, avvenuta il 29 marzo 2007, è stato rispettato.
L'omessa disamina dei motivi nuovi da parte della Corte di appello è stata dunque illegittima. Tale illegittimità potrebbe tuttavia risultare irrilevante ove non avesse concretamente inciso sulla completezza o logicità della motivazione resa: e ciò in ragione della intrinseca inammissibilità dei motivi nuovi, per la loro non riconducibilità ai capi o punti della decisione impugnata già enunciati nell'originario atto di gravame, ovvero in ragione del loro sostanziale tenore, (ammissibile ma) tale da non esigere da parte della Corte di merito, ai fini di una decisione compiutamente motivata, un vaglio specifico e ulteriore rispetto a quello concretamente risultante dalla pronuncia impugnata.
Spetta dunque a questa Corte verificare se il vizio formale denunciato e oggettivamente sussistente sia eventualmente neutralizzato dalla riscontrata assenza di pratici effetti, nel senso sopra precisato (cfr. sul punto Cass. 01,02.2002 n. 10156). Ora, quanto all'ammissibilità dei motivi nuovi, nessun dubbio si pone in proposito, avendo gli stessi ripreso e ampliato i capi a), b) e c) della rubrica, già oggetto dei motivi di appello, e le varie questioni già ivi sollevate in relazione ai medesimi, nonchè il punto generale, pure già oggetto dei motivi di appello, inerente al dedotto clima di vessazione cui il Primario Prof. P. aveva sottoposto l' O..
Circa la valenza sostanziale dei motivi aggiunti, si rileva che gli stessi hanno approfondito e sviluppato, anche con specifici richiami a risultanze processuali, alcuni rilevanti aspetti inerenti alla compiuta ricostruzione delle vicende oggetto di imputazione, sottolineando in particolare:
- quanto al capo a), che le risultanze documentali, correttamente interpretate, smentivano l'essenziale presupposto di fatto della effettuazione stessa (e non solo della loro ricezione da parte dell'imputato) delle chiamate da parte della infermiera R.;
- quanto al capo b), che le risultanze documentali e orali, esaminate nella loro integrità e concatenazione logica, consentivano di escludere qualsiasi reale omissione da parte dell'imputato, essendosi questi conformato alle indicazioni e direttive adottate sulla vicenda dal P., specificamente sollecitato per tempo;
- quanto al capo c), che le risultanze processuali, correttamente esaminate e corroborate anche da una sua lettera inviata dall' O. in tempi non sospetti e da una più accurata diagnosi medica del caso, consentivano di escludere che l'imputato avesse effettivamente ricevuto una richiesta d'intervento per ragioni di urgenza da parte del medico di guardia.
Oltre a ciò, nei motivi nuovi, come già accennato, si riprendeva e sviluppava il tema della vessazione cui l' O. assumeva di essere stato sottoposto dal P. e si sottolineava il condizionamento esercitato dal Primario su vari addetti al reparto (che avevano anche deposto nel processo), tra cui in particolare la R.. Ciò precisato, non c'è dubbio che l'omessa considerazione dei motivi nuovi ha determinato una evidente carenza di motivazione nella sentenza impugnata, non ovviabile col riferimento a quella di prime cure (che non aveva preso in specifico esame le doglianze de quibus).
Il percorso argomentativo della Corte di merito, infatti, si è sviluppato, quanto ai capi b) e c), sul presupposto, ritenuto puntualmente accertato, che i medici di guardia - rispettivamente, dott.ssa M. e dott. Pi. - avevano specificamente richiesto l'intervento dell' O.. Al riguardo si sono in particolare richiamati un passaggio della deposizione della M. e una lettera del Pi., scritta il 22-4-1998. In tal modo, però, non si sono per nulla prese in considerazione l'articolata ricostruzione, operata dalla difesa (con riferimenti anche a specifici passaggi della deposizione M.), dell'episodio di cui al capo b), che avrebbe visto l'intervento determinante e, in sostanza, 'assorbentè, del Primario Prof. P., e le censure mosse all'attendibilità della lettera del Pi. del 22-4- 1998, ritenuta significativamente superata dalla deposizione dibattimentale del medesimo, ove si sarebbe riconosciuta l'inesistenza della rappresentazione di una situazione di urgenza e della specifica richiesta di un intervento.
Quanto agli episodi di cui al capo a), le risultanze documentali addotte come contrastanti con la deposizione della R. sono state superate con considerazioni circa l'attendibilità di quest'ultima che hanno ritenuto del tutto privi di base, senza esaminarli adeguatamente, gli ampi riferimenti della difesa (da valutare, evidentemente, anche per la compiuta disamina delle risultanze afferenti agli episodi di cui ai capi b e c della rubrica) al clima difficile e ostile che si era creato nel reparto nei confronti dell' O., suscettibile di condizionare il comportamento dei vari addetti e, in particolare, della R., stretta collaboratrice del P., per la quale emergeva fra l'altro un non secondario contrasto fra la sua deposizione dibattimentale (nella quale si parlava di un tentativo, andato a vuoto, di contattare telefonicamente l' O.) e le sue dichiarazioni predibattimentali (ove aveva assunto di aver parlato con l' O.).
Le lumeggiate carenze motivazionali coinvolgono inevitabilmente la complessiva valutazione del materiale probatorio e infirmano di per sè la sentenza impugnata, comportando l'assorbimento (salvo quanto si dovrà puntualizzare più innanzi sul piano dei principi giuridici) delle altre doglianze di ricorso, che o si legano inscuidibilmente con alcune delle (suddette) questioni non congruamente esaminate (così il secondo motivo di ricorso, posto che la mancata acquisizione dei tabulati telefonici inerenti alle chiamate in entrata e uscita dal reparto di chirurgia dell'Ospedale di (OMISSIS) effettuate nella data degli episodi di cui al capo a è stata implicitamente ritenuta irrilevante dalla Corte d'appello sulla base della ricostruibilità delle chiamate stesse in base essenzialmente alle dichiarazioni, considerate senz'altro attendibili, della R.) o ne riprendono altre (così il terzo e il quarto motivo di ricorso e i motivi nuovi), in una alla prospettazione di connesse tematiche attinenti all'elemento soggettivo o a problemi squisitamente giuridici (vedi in particolare il discorso sui margini di discrezionalità consentiti, anche alla luce della normativa contrattuale, al medico di reperibilità, sulla incidenza di una situazione di subordinazione gerarchica e sulla configurabilità del reato contestato in assenza di un positivo contatto comunicativo col medico stesso). L'apprezzamento della concreta rilevanza e la corretta impostazione di tali tematiche presuppongono ovviamente la previa ricostruzione definitiva dei fatti, che non potrà che scaturire da una nuova ricognizione e valutazione delle risultanze processuali alla stregua di quanto sopra chiarito.
Corre l'obbligo, peraltro, di puntualizzare sin d'ora, sul piano dei principi, che:
- il "rifiuto" punibile a sensi dell'art. 328 c.p., comma 1 presuppone la cognizione di una situazione di urgenza (rientrante fra quelle ivi previste), impositiva dell'atto al soggetto tenuto a intervenire (Cass. Sent. N. 5482 del 1998 Rv. 210497, N. 10003 del 2000 Rv. 218487, N. 31713 del 2003 Rv. 226218, N. 1757 del 2006 Rv.
233858) e si concreta nel deliberato mancato compimento (Cass. sent.
N. 2339 del 1998 Rv. 209979, N. 2510 del 2004 Rv. 228260) dell'atto stesso con la consapevolezza di violare i propri doveri (fra le altre, Cass. sentt. N. 14719 del 1990, N. 8949 del 2000 Rv. 217665);
- in materia sanitaria l'urgenza è individuata in base alle conseguenze che l'inadempimento può provocare al bene della salute (Cass. sent. n. 1746 del 04.12.1991/18.02.1992);
- il medico in servizio di reperibilità di cui sia stato richiesto l'intervento da personale tecnico per una situazione di urgenza sanitaria da questo valutata è obbligato per i suoi compiti d'istituto a intervenire, senza possibilità di sindacare nel merito tale valutazione ( Cass. sentt. N. 6328 del 26.04.1996/24.06.1996, N. 48379 del 2008 Rv. 242400);
- costituisce apprezzamento di fatto la valutazione della sussistenza in concreto della oggettiva rappresentazione, al detto medico, di una situazione di urgenza sanitaria, e della reale percezione, da parte sua, di una rappresentazione di tal tipo;
- nulla osta all'applicazione in materia, ove ne ricorrano i relativi presupposti, delle regole generali in tema di cause di giustificazione.
L'impugnata sentenza deve essere, pertanto, annullata con rinvio al giudice di merito, che procederà a nuovo giudizio, tenendo conto di tutto quanto innanzi rilevato.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e 623 c.p.p., annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2009

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