contributi a Inarcassa dovuti solo per attività riservata

Contributi a Inarcassa: la Cassazione conferma, con una pronuncia del 2012, che non sono dovuti se i redditi si riferiscono ad attività non riservata ad ingegneri ed architetti
  
 
 
Con la sentenza n 1139 del 2012, la Suprema Corte ha nuovamente confermato che l'obbligo di iscrizione e di versare i contributi ad Inarcassa postulano, quale necessario presupposto, lo svolgimento di attività riservata e non già lo svolgimento di una qualsivoglia attività per la quale possa essere utile la spendita del patrimonio conoscitivo di un architetto o di un ingegnere ma  che non rientrino oggettivamente nell'alveo delle attività oggetto di riserva a mente delle disposizioni di cui agli artt. 50 e 51 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537.
 
La conclusione cui è nuovamente giunta la Suprema Corte, e che dà così continuità alle precedenti pronunce nn. 3064 del 2001, 3468 del 2005, ha trovato peraltro un chiaro avallo normativo nella norma di interpretazione autentica contenuta nel DL n 99 del 2011 (commi 11 e 12 dell'art. 18), laddove si prevede che  i contributi a Inarcassa ed agli altri enti libero professionali non siano dovuti in relazione ad attività il cui svolgimento non sia subordinato all'iscrizione ad albi professionali; per tali tipi di attività è, invece, obbligatoria l'iscrizione e la contribuzione alla Gestione Separata a mente del comma 26 dell'art. 2 della Legge n 335 del 1995 così autenticamente interpretato.
 
Si deve, alla luce della sentenza e della richiamata norma di interpretazione autentica, ritenere che il professionista non debba neppure maggiorare le fatture del contributo integrativo con riferimento ad attività non riservata; il cui svolgimento non sia, cioè, subordinato all'iscrizione ad albo professionale.
 
Ove la sola attività che l'ingegnere o l'architetto svolge sia quella non riservata, anzi, pare doversi escludere anche l'obbligo di inoltrare la comunicazione reddituale annuale all'ente categoriale. E' doveroso, tuttavia, ricordare che Inarcassa, a livello operativo, prosegue ad esigere l'iscrizione, la comunicazione reddituale, e la contribuzione in presenza dell'iscrizione all'Albo, da parte di ingegnere o architetto e dell'apertura di una partita IVA compatibile con l'esercizio professionale.

Cassazione civile  sez. VI 26 gennaio 2012 n. 1139


L'ingegnere che svolga attività di perito balistico non è tenuto all'iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri e architetti, né, conseguentemente, al pagamento dei relativi contributi previdenziali, poiché l'art. 21 l. 3 gennaio 1981 n. 6, pone l'obbligo di iscrizione solo per gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità e, quindi, di effettività, in relazione ai contenuti tipici della stessa, fissati dall'art. 7 l. 24 giugno 1923 n. 1395 e dagli art. 51 e 52 r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, ai quali è estranea l'attività di perito balistico, per il cui esercizio, non occorre né il titolo di ingegnere né l'iscrizione al relativo albo, essendo inoltre irrilevante che la competenza professionale e culturale acquisita come ingegnere possa influire sull'attività in concreto svolta.


Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Roma, riformando la statuizione di primo grado, accoglieva la domanda proposta dall'ing. M.V. nei confronti della Cassa Nazionale Previdenza Assistenza Ingegneri e Architetti Liberi professionisti, per far dichiarare non dovuti i contributi richiesti dalla Cassa per il periodo dal 1992 al 2003, in cui aveva svolto attività di perito balistico, in tale veste iscritto come CTU presso il Tribunale di Paola. La Corte territoriale infatti affermava, alla luce della L. n. 1395 del 1923 che, rinviando al regolamento n. 2537 del 1925, indica quali siano le attività esperibili solo da ingegneri ed architetti, escludeva che l'attività di perito balistico vi rientrasse, ha interpretato cioè la L. n. 6 del 1981 nel senso che l'obbligo di iscrizione sussiste solo per le attività libero-professionali oggetto di riserva agli iscritti all'albo secondo la rispettiva disciplina, ed osservava che non è sufficiente che la competenza professionale di ingegnere possa influire, al pari di ogni altro sapere, su qualsiasi attività in concreto svolta dall'ingegnere.
Avverso detta sentenza la Cassa soccombente ricorre con un unico complesso motivo. Resiste l'ing. M. con controricorso;
Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso;
Letta la memoria del ricorrente;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili e non scalfiti dalle sia pure approfondite argomentazioni di cui alla memoria;
La L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 1 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti) pone l'obbligo dell'iscrizione alla Cassa per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità, intendendo indicare, con l'articolo determinativo, esattamente la professione di ingegnere o di architetto, e non qualsiasi libera professione, per il che avrebbe usato l'articolo indeterminativo. Il comma 5 dello stesso articolo, poi, escludendo la possibilità di iscrizione alla Cassa per gli ingegneri e gli architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata, conferma la distinzione tra attività di ingegneri ed architetti e qualsiasi altra professione. Sul piano funzionale, l'intera L. 3 gennaio 1981, n. 6, come recita il suo stesso titolo (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), ha per oggetto esclusivamente la previdenza di coloro che esercitano tali libere professioni. Con riferimento alla L. 29 gennaio 1986, n. 21, art. 22 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti), di identico tenore (Sono obbligatoriamente iscritti alla Cassa i dottori commercialisti iscritti all'albo professionale che esercitano la libera professione con carattere di continuità), questa Corte ha statuito che il requisito della libera professione non è collegato alla sola potenzialità dell'attività intellettuale, ma richiede l'effettività della pratica professionale (ovviamente corrispondente all'oggetto della cassa professionale) (Cass. 4 luglio 1991 n. 7389).
Non si può dunque che ripetere quanto affermato dalle sentenze di questa Corte n. 3064 del 2001, 3468 del 2005, con le quali si è statuito che il requisito della libera professione non è collegato alla sola potenzialità dell'attività intellettuale, ma richiede l'effettività della pratica professionale (ovviamente corrispondente all'oggetto della cassa professionale) (Cass. 4 luglio 1991 n. 7389), Il contenuto professionale della attività di ingegnere ed architetto è definito dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7 che rinvia al regolamento R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, il quale agli artt. 51 e 52 indica quali siano le attività esperibili solo da ingegneri ed architetti. Capo 4A - Dell'oggetto e dei limiti della professione di ingegnere e di architetto.
Art. 51. Sono di spettanza della professione d'ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonchè in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo.
Art. 52. Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonchè i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative.
Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364 per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere.
E' evidente che l'attività di perito balistico è completamente estranea a queste previsioni. Quanto al problema della estensione del dominio delle libere professioni, rispetto ai confini definiti dalle norme di legge riportate, prospettato dalla Cassa, questa Corte ha affermato che l'ingegnere chimico può legittimamente compiere analisi chimiche, se queste sono preordinate al conseguimento di un risultato finale proprio dell'attività professionale dell'ingegnere chimico; al contrario, tale legittimazione viene meno nei casi in cui l'analisi chimica costituisce l'oggetto finale dell'attività professionale, giacchè in questo caso si realizzerebbe una non consentita ingerenza nel settore di attività riservato ai chimici.
Lo si è ribadito con la sentenza del 11 giugno 2004 n. 11154, per cui non è sufficiente che la competenza professionale di ingegnere possa influire, al pari di ogni altro sapere, che concorra ad integrarne il patrimonio culturale, su qualsiasi attività in concreto svolta dall'ingegnere stesso.
Va aggiunto che non era neppure prescritta, per l'iscrizione all'albo dei periti del Tribunale, nè il titolo di ingegnere, nè la iscrizione al relativo albo;
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro trenta per esborsi e tremila per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2012
 
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