L'Accertamento tecnico preventivo (d'ora in poi A.T.P.) è stato individuato dall'art. 38 d.l. 6 luglio 2011, n. 98
convertito con modificazioni in l. 15 luglio 2011, n. 111 come la nuova
(ed unica) modalità di introduzione delle controversie «in materia
di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e
disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità,
disciplinati dalla l. 12 giugno 1984, n. 222». L'art. 445- bis c.p.c. prevede, infatti, che «chi
intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri
diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell'art.
442 c.p.c., istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.
Il giudice procede a norma dell'art. 696- bis c.p.c., in quanto
compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all'accertamento
peritale di cui all'art. 10, comma 6- bis, d.l. 30 settembre 2005, n.
203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, e
all'art. 195».
All'esito dell' accertamento il giudice adito ne dispone l'omologazione con decreto che la parte interessata notifica "agli
enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di
tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al
pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni».
A norma dell'art. 445- bis comma 3 c.p.c., «la richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico interrompe la prescrizione» del diritto.
Una questione che si è posta è, nel silenzione del Legislatore, se
l'incardinamento dell'azione di accertamento preventivo sia idoneo ad
escludere la decadenza semestrale prevista, in materia di invalidità
civile, dall'art. 42 comma 3 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito
in l. 24 novembre 2003, n. 269.
Secondo la migliore dottrina, invero, l'azione di accertamento tecnico
preventivo deve considerarsi idoena, al pari della domanda giudiziale
(oggi improponibili se non dopo aver proposto l'azione di accertamento
preventivo) ad escludere la decadenza semestrale; l'opposta soluzione,
infatti, indurrebbe gli interessati a proporre contemporaneamente sia il
giudizio per A.T.P. che il giudizio ordinario.
Secondo un criterio di interpretazione ragionevole, appare quindi
lineare ritenere che, avendo il legislatore introdotto un necessario
preventivo procedimento sommario rispetto al procedimento ordinario, la
domanda di accertamento tecnico non può non avere l'effetto di impedire
anche la decadenza semestrale.
I medesimi argomenti possono essere utilizzati per sostenere che la
presentazione della domanda di A.T.P. impedisca anche la decadenza
triennale ex art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970. 1.2.
Resta fermo che la presentazione della domanda amministrativa di
prestazione previdenziale o assistenziale costituisce condizione di
proponibilità della domanda di accertamento tecnico e che la mancanza di
tale presupposto può essere rilevata d'ufficio a prescindere dalla
posizione difensiva assunta dall'ente. Del resto, la proposizione di
istanza di A.T.P. prima della presentazione della domanda
amministrativa, sfocerebbe in un accertamento sostanzialmente inutile,
non potendo comunque l'invalido richiedere la prestazione senza una
previa domanda in sede amministrativa (momento a partire dal quale, per
altro, decorre la prestazione in caso di accoglimento della domanda).
Con riferimento alle domande di accertamento del requisito sanitario
dell'assegno ordinario di invalidità e della pensione di inabilità ex
lege n. 222 del 1984, appare preferibile la tesi che estende a tale
procedimento giudiziale l'onere di esperire dapprima il ricorso
amministrativo pena l'improcedibilità della domanda di accertamento
tecnico preventivo.
Il ricorso per A.T.P. deve contenere, oltre all'istanza diretta di
consulenza tecnica preventiva, lenunciazione del diritto di cui si
afferma titolare ed al cui (futuro) soddisfacimento è finalizzata
l'istanza: ciò si evince agevolmente dalla lettera dell'art. 445- bis, a
norma del quale «... chi intende proporre in giudizio domanda per
il riconoscimento dei propri diritti presenta... istanza di
accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni
sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere».
Sarà pertanto necessario indicare non soltanto le circostanze,
sintetiche, dei dati relativi al procedimento amministrativo intrapreso,
ma anche degli altri elementi che, eventualmente, la legge indica per
l'attribuzione di un determinato beneficio assistenziale (quali, ad
esempio, i requisiti reddituali e contributivi). Sempre in ordine ai
requisiti del ricorso, si pone la questione se sia o meno necessaria la
dichiarazione di valore della prestazione dedotta in giudizio ai sensi
dell'art. 152 disp. att. c.p.c., a norma del quale «le spese, competenze
ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni
previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta
in giudizio. A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità
di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione
dedotta in giudizio, quantificandone l'importo nelle conclusioni
dell'atto introduttivo». Si ritiene, in tale prospettiva, necessaria la
dichiarazione di valore mentre una dichiarazione errata in quanto non
corrispondente al valore della controversia non dovrebbe produrre
effetti in ordine all'ammissibilità della domanda.
Sotto il profilo della procedura, proposta la domanda di accertamento
tecnico preventivo, il giudice adito emette decreto di fissazione
dell'udienza da notificarsi a cura della parte privata richiedente. Il
richiamo, da parte dell'art. 445- bis cpc dell'art. 696- bis (rubricato:
«consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite»),
induce a ritenere che la nomina del consulente d'ufficio sia nominato
in udienza, dopo l'instaurazione del contraddittorio, e non già
direttamente nel corpo del decreto ove, eventualmente, figurerà un
semplice invito a comparire.
Il decreto, a cura della parte ricorrente, dovrà essere notificato,
in materia di assistenza civile ai sensi deell'art. 10 comma 6 d.l. n. 203 del 2005 all'Inps presso le sedi provinciali
in materia di trattamenti previdenziali di pensione di inabilità e di assegno di invalidità presso la sede legale dell'Inps.
L'opinione prevalente è nel senso che il giudice interessato da una
domanda di accertamento preventivo, abbia il potere dovere di scrutinare
le questioni preliminari che dovessero porsi (verifica dei requisiti
reddituali e contributivi fondanti la domanda, verifica della competenza
territoriale, verifica della tempestività della domanda rispetto al
termine decadenziale. proponibilità e/o procedibilità della domanda).
Con riferimento all'evoluzione processuale di un'iniziativa processuale
ex art. 445- bis c.p.c. deve richiamarsi il nuovo art. 195 c.p.c. per
cui, all'atto del conferimento dell'incarico peritale, il giudice
assegnerà al C.T.U. i termini di cui al nuovo art. 195 c.p.c., in modo
da consentire alle parti di formulare le proprie osservazioni e al
C.T.U. di rispondervi prima di depositare la relazione peritale in
Cancelleria. Il richiamo all'art. 10, comma 6- bis d.l. n. 203 del 2005
implica infine che il C.T.U. è tenuto ad inviare entro 15 giorni
antecedenti l'inizio delle operazioni peritali, anche in via telematica,
apposita comunicazione al direttore della sede provinciale dell'INPS
competente o a suo delegato: da ciò si desume che tra la data di
affidamento dell'incarico e quella di inizio delle operazioni peritali
devono decorrere non meno di 15 giorni. «il giudice, terminate le
operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un
termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le
medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria,
se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico
dell'ufficio».
La norma in esame, infine, prevede che, «in assenza di
contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell'art. 196, con
decreto pronunciato fuori udienza... omologa l'accertamento del
requisito sanitario ... ».
Si ritiene che la facoltà del giudice di disporre il rinnovo delle operazioni o la sostituzione del C.T.U. possa essere esercitata fino a che le parti non abbiano formalizzato le proprie eventuali contestazioni.
Come detto, in assenza di contestazioni, il giudice, con decreto
pronunciato fuori udienza entro il termine di trenta giorni dalla
scadenza del termine assegnato alle parti per la formalizzazione delle
proprie eventuali contestazioni, omologa l'accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell'ufficio, provvedendo anche sulle spese di lite e di C.T.U. Tale decreto, infine, non è «impugnabile né modificabile».
Si è posta, da subito, la questione interpretativa se il Giudice,
all'esito della CTU, potesse procedere all'omologazione solo «parziale»
dell'accertamento (ad esempio nel caso in cui sia stato accertato il
requisito sanitario per il trattamento pensionistico richiesto ma con
una diversa decorrenza). Argomenti sistematici inducono a ritenbere
preferibile la soluzione positiva ammettendo la possibilità di
un'omologazione parziale dell'accertamento e la ricorribilità per la
parte della domanda non accolta con l'accertamento peritale. La diversa
soluzione, infatti, costringerebbe la parte a ricorrere contro
l'omologazione con il rischio di subire la soccombenza totale in
giudizio nonostante vi fosse accordo tra le parti in ordine al parziale
accertamento peritale. Inoltre, laddove l'esito peritale risultasse
confermato in giudizio, la parte ricorrente dovrebbe ritenersi non già
soccombente (così come sarebbe se l'omologazione parziale fosse ammessa)
ma parzialmente vittoriosa con le necessitate conseguenze in relazione
alle statuizioni sulle spese di lite.
Con il decreto di omologa (anche se parziale, per le ragioni già
esposte) il giudice liquida le spese del procedimento (in applicazione
degli ordinari criteri di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.) e quelle della
C.T.U.; se invece le parti non concordano sulle conclusioni del
consulente, il giudice non omologa l'accertamento preventivo e non
provvede sulle spese di lite (che restano a carico delle parti che le
hanno anticipate). Quanto invece alle spese della C.T.U., il giudice le
porrà a carico dell'ente nei casi di omologazione dell'accertamento con
esito (anche parzialmente favorevole) per il ricorrente ovvero di
contestazioni presentate da parte dell'ente stesso. Nel caso in cui,
invece, sia il ricorrente a contestare le conclusioni del consulente, le
spese della C.T.U. dovranno essere poste a carico di quest'ultimo.
Il decreto di omologazione «è notificato agli enti competenti, che
provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori
requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative
prestazioni, entro 120 giorni».
È dunque la parte interessata a dover provvedere alla notificazione del
decreto e, pur nel nel silenzio della legge, sarebbe opportuna la
notificazione, unitamente al decreto, del ricorso e della relazione di
consulenza
Il decreto di omologazione, per espressa previsione normativa, non è
modificabile né impugnabile. Non può però escludersi che sia possibile
la correzione di eventuali errori materiali, applicando in via analogica
le disposizioni degli artt. 287 ss. c.p.c. sulla correzione di
omissioni, errori materiali o di calcolo di sentenze e ordinanze non
revocabili.
IL GIUDIZIO A COGNIZIONE PIENA. INTRODUZIONE DEL GIUDIZIO E CONTENUTO DEL RICORSO
«Nei casi di mancato accordo, la parte che abbia dichiarato di
contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio deve
depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine
perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di
dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di
inammissibilità, i motivi della contestazione».
Ne consegue che la contestazione dell'accertamento tecnico dovrà essere specificamente motivato e non tendere alla mera riedizione della consulenza peritale. Il ricorso che la parte presenta nel termine perentorio di trenta giorni dalla dichiarazione di contestazione dovrebbe essere concepito, in sostanza, come una sorta di atto di appello con l'onere di specificare i motivi della contestazione; in difetto, il giudizio terminerà con una sentenza in rito di inammissibilità.
Se
entrambe le parti depositano tempestivamente la dichiarazione scritta
di dissenso, ciascuna avrà il termine perentorio di trenta giorni per
intraprendere il giudizio di merito; i due procedimenti dovranno essere
riuniti ex art. 273 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.
La
mancanza di contestazione o la contestazione tardiva dell'accertamento
peritale preclude la possibilità di proporre il successivo ricorso
ordinario, non avendo la parte interessata altra via se non quella di
proporre nuova domanda amministrativa
Se
solo una parte dell'accertamento peritale è oggetto di contestazione,
la parte di essa non gravata da opposizione non sarà riformabile — in
peius all'esito del giudizio di merito ( va peraltro segnalato il
contrario avviso di una parte della dottrina secondo la quale, in caso
di ricorso che censuri solo una parte dell'accertamento peritale, la
parte ricorrente si esponga anche al rischio di una reformatio in peius
dell'accertamento non contestato).
Sotto
il profilo strettamente processuale, se la parte che ha contestato
l'esito dell'A.T.P. non iscrive a ruolo nei termini la causa di merito,
la contestazione dovrà, secondo l'opinione più convincente, ritenersi
mai apposta e il giudice omologherà l'accertamento. A tale ultimo
riguardo, ci si chiede però giustamente come faccia il giudice a sapere
che nel termine sopra indicato non vi sia stata la presentazione del
ricorso di merito: sul punto, nel silenzio del legislatore, appare
ragionevole richiedere che sia la parte interessata a dover presentare
istanza di omologazione dell'A.T.P. (opposto dalla controparte senza la
successiva proposizione del giudizio di merito).
«L'espletamento
dell'A.T.P. costituisce condizione di procedibilità della domanda di
cui al primo comma. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto
a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la
prima udienza. Il giudice ove rilevi che l'A.T.P. non è stato espletato
ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il
termine di quindici giorni per la presentazione dell'istanza di
accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso».
Si
discute se la decisione di improcedibilità debba essere emessa con
sentenza o con ordinanza; in ogni caso il giudizio di merito, con
l'adozione di tale provvedimento, si chiude in maniera definitiva,
dovendosi con esso provvedere sulle spese. Non appare invece applicabile
estensivamente il disposto di cui all'art. 443 c.p.c. per cui il
Giudice dovrebbe sospendere il giudizio in attesa che si verifichi la
condizione di procedibilità attraverso la proposizione o la conclusione
dell'accertamento tecnico preventivo.
Poco
chiara rimane, in tale contesto, la funzione dell'assegnazione del
termine di quindici giorni per la presentazione di istanza di
accertamento tecnico ovvero di completamento del relativo procedimento.
E'
da ritenere che la mancata osservanza del termine di quindici giorni in
esame dovrebbe rilevare nell'ipotesi in cui le decadenze sostanziali
erano state impedite dalla proposizione dell'azione ordinaria ma,
dichiarata l'improcedibilità, in mancanza di regolare prosecuzione del
procedimento tramite presentazione di istanza di A.T.P. nel termine di
quindici giorni, il procedimento di accertamento iniziato tardivamente
non consentirebbe di conservare l'effetto impeditivo della decadenza
prodotto dal ricorso ordinario dichiarato improcedibile.
Quanto
alla competenza per il giudizio di merito successivo all'A.T.P.,
analogamente a quanto si verifica nel procedimento cautelare (e, mutatis
mutandis, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), il
giudice, dopo aver esaminato sommariamente gli atti di causa
(sostanzialmente limitandosi a prendere atto delle conclusioni della
consulenza tecnica, fatto salvo, come detto, l'esame della
ragionevolezza e concludenza della stessa), ben può prendere cognizione
della medesima controversia nell'ambito di un ordinario giudizio a
cognizione piena. Nulla in via di principio esclude, quindi, che al
medesimo giudice, già assegnatario del procedimento di A.T.P., sia
attribuita anche la cognizione del giudizio ordinario, senza alcun
margine per ipotizzare, in tal caso, questioni di incompatibilità ovvero
obblighi di astensione. La parte privata che abbia contestato le
risultanze dell'accertamento peritale dovrà notificare il ricorso
introduttivo del giudizio di merito all'Inps presso la sede legale per
le domande di assegno o pensione ex art. 1 e 2 L. 222/1984, mentre
presso la sede provinciale per le domande di prestazione assistenziale
(vista la norma speciale vigente al riguardo: art. 10 comma 6 d.l. 203
del 2005, convertito in l. n. 248 del 2005). Se è invece l'Inps a
formalizzare tale contestazione, dovrà notificare il ricorso, secondo
l'opinione preferibile, alla parte personalmente e non al procuratore
domiciliatario nel giudizio di A.T.P.
Quanto
alla possibilità di produrre in questa sede documentazione medica
preesistente all'introduzione del giudizio per A.T.P. ma non depositata
in quella sede, sebbene la norma dell'art. 414 c.p.c. con le relative
decadenze riguardi soltanto il giudizio ordinario, si concorda nel
ritenere opportuno applicare i relativi principi anche a tale
fattispecie, al fine sia di ottenere, già in sede di A.T.P., una
valutazione medico legale il più possibile attendibile alla luce delle
risultanze documentali fino a quel momento esistenti, sia di limitare le
nuove C.T.U. in sede di merito ai casi di reali e dettagliate
contestazioni ovvero di produzione di nuovi documenti rilevanti ai fini
del giudizio medico legale.