La riforma Maroni e la disciplina fiscale della previdenza complementare

 

Il  Dott. MIRKO SERRA consulente finanziario indipendente (con certificazione European Financial Advisor rilasciata da €.F.P.A.), si occupa, oltre che di investimenti, di pianificazione previdenziale. In questo articolo approfondisce la delicata tematica della disciplina fiscale dei fondi pensione...

Il D. Lgs. 252 del 5/12/2005 (la c.d. “Riforma Maroni), la cui entrata in vigore è stata anticipata al 1^ gennaio 2007, ha apportato delle modifiche alla disciplina fiscale delle forme pensionistiche complementari.
Per una maggior chiarezza nell’esposizione, possiamo distinguere due fasi: quella dell’accumulo (ovvero il periodo in cui vengono effettuati i versamenti, che normalmente è durante il periodo lavorativo) e quella dell’erogazione delle prestazioni (che di solito coincide con la cessazione dell’attività lavorativa del soggetto); infine, un discorso a parte merita la disciplina delle anticipazioni e dei riscatti delle posizioni individuali prima della cessazione dell’attività lavorativa.

La fase di accumulo
A partire dall’inizio di quest’anno, i contributi versati ad una forma pensionistica complementare sono completamente deducibili dal reddito complessivo entro l’importo di 5.164,57€. Viene pertanto meno il limite di deducibilità del 12% del reddito stesso, così come i vincoli per i lavoratori dipendenti legati al doppio della quota di TFR destinata alle forme di previdenza integrativa.
Fino al 31/12/2006 infatti, se ad esempio un soggetto dichiarava un reddito imponibile di 30.000€, l’importo massimo che poteva dedurre – quale contributo versato ad un fondo pensione - era di 3.600€, pari al 12% del proprio reddito (il tetto massimo dei 5.164,57€ esisteva già però, nel senso che se ad esempio un soggetto dichiarava 60.000€ di imponibile, non poteva dedurre l’intero 12% - pari a 7.200€ - ma si poteva “limitare” ai 5.164,57€).
In questa modo, si è cercato di dare un maggior beneficio in termini relativi a coloro che necessitano di crearsi una pensione complementare e hanno redditi più bassi.
Oltre a questo, ai lavoratori di prima occupazione successiva all’ 1/1/2007 e, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione a forme pensionistiche complementari, sarà consentito, nei 20 anni successivi al quinto di partecipazione, dedurre dal reddito complessivo contributi superiori al limite predetto di 5.164,57€, pari alla differenza tra 25.822,85€ (= 5.164,57€ x 5) e i contributi effettivamente versati nei precedenti cinque anni, e comunque per un importo annuo non superiore a 2.582,29€.
Sempre legata a questa fase è la tassazione dei rendimenti maturati in fase di accumulo, pari all’ 11%, che è quasi la metà rispetto a quella – che dovrebbe entrare in vigore nei prossimi mesi – del 20% di tutte le altre forme di investimento finanziario.

La fase di erogazione delle prestazioni

Innanzitutto, è bene ricordare che una volta giunti al momento dell’età pensionabile ogni singolo soggetto potrà liquidare al massimo il 50% del montante accumulato sotto forma di capitale (detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro), il resto dovrà essere riscosso sotto forma di rendita integrativa. Questo limite prevede un’unica eccezione, ovvero nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale, sia inferiore al 50% dell’assegno sociale (c.d. pensione minima).
Altro principio che naturalmente non è stato modificato è quello dell’applicazione delle aliquote solo all’importo corrispondente ai redditi non ancora tassati. Cosa si intende con questo principio è più facilmente comprensibile con un esempio numerico.
Supponiamo che un lavoratore abbia versato in un fondo di previdenza integrativa 5.000€ all’anno per 20 anni, e che ogni anno abbia dedotto dal proprio reddito tale importo: alla fine dei 20 anni avrà versato complessivamente 100.000€. Al momento della cessazione della propria attività lavorativa, supponiamo si ritrovi con un montante finale di 150.000€ - dove i 50.000€ in più derivano dalle plusvalenze finanziarie maturate nel corso dei vari anni. Per semplicità, ipotizziamo inoltre che decida di incassare l’intera prestazione sotto forma di rendita: ciò significa che 1/3 della rendita deriverà dai rendimenti finanziari (50.000/150.000) avuti nel corso degli anni, mentre i rimanenti 2/3 dal totale dei contributi versati (100.000/150.000). Quindi la quota-parte di rendita derivante dai rendimenti - già tassati in fase di accumulo (come detto in precedenza ad un’aliquota dell’ 11%) - non verrà più sottoposta a tassazione; quello che verrà invece sottoposto ad imposizione fiscale, nella maniera che andrò a descrivere, è la parte di rendita (in questo esempio pari a 2/3) derivanti dal totale dei contributi versati.
Le prestazioni erogate, sia in forma di capitale sia in forma di rendita, saranno soggette ad una ritenuta a titolo di imposta pari al 15% (ribadisco, la ritenuta si applica solo all’importo corrispondente ai redditi non ancora tassati, come descritto nell’esempio precedente). L’aliquota del 15% verrà ridotta di una quota pari allo 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo di partecipazione ad una forma pensionistica complementare, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Pertanto, chi potrà vantare almeno 36 anni di partecipazione ad una forma di previdenza complementare, l’aliquota applicata sarà pari al 9%.

I riscatti e le anticipazioni

Il D. Lgs 252/05 è intervenuto anche sul regime fiscale delle anticipazioni e dei riscatti.
Innanzitutto, l’importo massimo richiedibile a titolo di anticipazione non può mai essere superiore al 75% del montante accumulato.
Qualora l’anticipazione venga richiesta per spese sanitarie (a seguito di gravissime situazioni relative a sé, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti come tali dalle competenti strutture pubbliche) è prevista l’applicazione della medesima aliquota prevista per le prestazioni previdenziali (15%), con progressiva riduzione dell’aliquota stessa secondo quanto descritto in precedenza; in questo caso, l’anticipazione è richiedibile in qualsiasi momento. Qualora invece l’anticipazione venga richiesta per finanziare l’acquisto (o la ristrutturazione) della prima casa (per sé o per i figli), è prevista l’applicazione, a titolo di imposta, dell’aliquota fissa del 23%; inoltre, in quest’ultimo caso devono essere trascorsi almeno 8 anni dal momento dell’iscrizione ad una forma pensionistica complementare.
In caso di riscatto, per tutte le fattispecie previste dall’art. 14, comma 2 e 3 del D. Lgs. 252/05 (in occupazione temporanea, procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, invalidità permanente, morte) è prevista l’applicazione, agli importi corrispondenti ai redditi non ancora tassati, dell’aliquota del 15% con progressiva riduzione secondo il meccanismo già illustrato precedentemente.
In ipotesi di riscatto per cause diverse da quelle previste dalla legge (genericamente definite “ulteriori esigenze dell’aderente”), la ritenuta da applicare, sempre sulla parte di redditi non ancora tassati, è pari al 23%: in quest’ultima ipotesi, devono essere trascorsi almeno 8 anni dalla prima iscrizione ad un fondo pensione complementare e il limite massimo “riscattabile” è pari al 30% della posizione maturata.

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