Le normative degli enti previdenziali dei liberi professionisti prevedono due forme principali di contribuzione: la contribuzione soggettiva in percentuale sul reddito netto professionale e la contribuzione integrativa costituente una maggiorazione percentuale da applicare su tutti i corrispettivi rientranti nel volume d’affari IVA.
Si è posta in Giurisprudenza la problematica concernente la tipologia dei redditi e volumi d’affari da assoggettare a contribuzione soggettiva e su cui calcolare la contribuzione integrativa e, in particolare, la connessa questione se la contribuzione soggettiva e la integrativa debbano necessariamente essere calcolate sull’intero ammontare dei redditi e dei volumi d’affari quali risultanti dalla dichiarazione fiscale.
Della questione è stata investita la Corte Costituzionale, sotto il profilo dell’irrazionalità dell’assoggettamento a contribuzione integrativa di ogni corrispettivo rientrante nel volume d’affari IVA di un avvocato a prescindere dalla natura professionale dell’attività espletata.
La Corte Costituzionale ha emesso una sentenza interpretativa di rigetto (la n. 402/91) ritenendo non fondata la questione sulla base del presupposto interpretativo per cui non ogni compenso rientrante nel complessivo volume d’affari IVA dichiarato al Fisco doveva essere assoggettato a contribuzione integrativa ma soltanto i corrispettivi relativi a prestazioni professionali.
Dell’indicata questione si è successivamente occupata a più riprese la Suprema Corte di Cassazione che, nel solco tracciato dalla richiamata pronuncia della Core Costituzionale, ha confermato che la contribuzione soggettiva e la contribuzione integrativa dovute agli enti previdenziali dei liberi professionisti riguardano esclusivamente le attività ontologicamente professionali e non già ogni compenso esposto nella dichiarazione fiscale (si vedano, in tal senso, le sentenze nn. 629/93; 7384/96; 2910/99; 15816/2000; 11154/2004; 3468/2005).
Stante il consolidato orientamento giurisprudenziale richiamato la problematica, dal possibile assoggettamento a contribuzione integrativa e soggettiva di redditi e volumi d’affari extra professionali (come si è visto escluso dalla Suprema Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale), si è spostato verso l’identificazione dei contorni dell’attività professionale i cui compensi sono suscettibili di essere assoggettati a contribuzione.
Le indicazioni della Giurisprudenza a tale riguardo non offrono né parametri certi né consolidati principi.
Già la sentenza n. 402/92 della Corte Costituzionale aveva posto in rilievo come l’attività professionale forense fosse andata assumendo connotazioni più ampie nel quadro del patrocinio previsto dal codice di procedura civile.
Successivamente la Suprema Corte di Cassazione, nel dirimere controversie concernenti l’assoggettabilità a contribuzione dei relativi compensi, ha avuto modo di chiarire come l’opera intellettuale presenti i caratteri della professionalità quando concorrono l’elemento soggettivo dell’iscrizione all’albo e quello oggettivo della natura tecnica e assolutamente esclusiva dell’attività del professionista o quanto meno del collegamento della relativa attività non tecnica con prestazione di ordine tecnico (in tal senso Cass. Civ Sez. Lav. n. 2910/99).
Con riferimento alla funzione di organo di società è stato, poi, precisato che, ancorché di per sé non imponga la soggezione del compenso relativo al contributo soggettivo, neppure esclude la soggezione a contributo integrativo dei corrispettivi erogati a detti organi ove la Cassa offra la prova, della quale è onerata, che ne risultino compensate attività degli stessi organi riconducibili obiettivamente all’esercizio della professione (in tal senso Cass. Civ. Sez. Lav. n. 11154/2004).
Ai fini dell’assoggettabilità a contribuzione dei corrispettivi erogati in relazione alla funzione di Organo di società, è stato, peraltro, precisato che non rileva la circostanza che la competenza professionale possa influire, al pari di ogni altro sapere, su qualsiasi attività in concreto svolta dal professionista (nella specie ingegnere) nella società, ma assume rilievo dirimente la riconducibilità dell’attività espletata all’esercizio della professione (di ingegnere).
Sono stati, poi, individuati dei limiti all’estensione dell’ambito dell’attività professionale che deve essere, innanzi tutto, stata oggetto dell’esame di abilitazione professionale e, in secondo luogo, non riservata dalla legge esclusivamente ad altre professioni (così Cass. Civ. Sez. Lav. n. 3468/2205).
In conclusione, alla luce degli orientamenti di Giurisprudenza richiamati, può considerarsi principio di diritto recepito quello per cui non ogni compenso rientrante nel volume d’affari IVA (o, analogamente, nel reddito autonomo denunciato ai fini dell’IRPEF) deve essere assoggettato a contribuzione integrativa (o, analogamente, a contribuzione soggettiva) ma soltanto quella quota dei corrispettivi esposti in dichiarazione fiscale riconducibili all’attività professionale in senso stretto.
L’attività professionale può, poi, essere svolta in diverse forme ed anche attraverso l’assunzione della funzione di Organo di una società (salve eventuali diverse problematiche d’incompatibilità o concernenti la natura non libera dell’attività) ma il compenso relativo può essere assoggettato a contribuzione solo se risulti che l’attività in concreto svolta dal professionista abbia natura professionale, non risultando, in tal senso, sufficiente l’utilizzo, da parte del professionista medesimo nell’esercizio della funzione, delle sue competenze professionali, al pari di ogni altro sapere.